La guerra in Ucraina rappresenta un grande problema per la Cina. Dal punto di vista diplomatico ed economico, Pechino si trova costretta a riconfigurare la propria strategia, ripensando la tempistica e le modalità della sfida agli Stati Uniti per la leadership globale.
La comunità internazionale nella sua maggioranza ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina: la risoluzione dell’Assembra generale dell’Onu, con cui si dichiarava che la Russia ha violato l’articolo 2 (4) della Carta delle Nazioni Unite – quello che invita gli Stati membri ad “astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi stato” – è stata approvata con il sostegno di 141 Paesi, rendendo, di fatto, illegale la guerra voluta da Putin.
La Cina ha più volte provato a rimarcare le differenze fra la guerra in Ucraina e la questione di Taiwan, poiché essa rappresenta una “questione interna” assimilabile al caso di una riunificazione fra due parti di un unico Paese. Anche se ha risposto alla recente visita di una delegazione del Senato americano mostrando i muscoli con un’esercitazione militare congiunta di marina e aviazione a ridosso di Taiwan, la Cina teme fortemente che la comunità internazionale si possa spaccare e addirittura possa condannare l’invasione di quella che la retorica nazionalista chiama “l’isola ribelle”. In definitiva, Pechino non vuole subire lo stesso trattamento che la comunità internazionale ha riservato alla Russia e quindi finire isolata.
In questo senso la guerra in Ucraina rappresenta un pericoloso precedente e fa immaginare a Pechino il trattamento che potrebbe ricevere. Non a caso, quando la Cina si è opposta alla sospensione della Federazione Russa dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, l’ambasciatore Zhang Jun, che rappresenta Pechino alle Nazioni Unite, ha dichiarato che ci si trovava di fronte a un pericoloso precedente, che “costringe i Paesi a scegliere da che parte stare, che aggraverà la divisione tra gli Stati membri e intensificherà le contraddizioni tra le parti interessate”.
Ma a ben vedere la guerra in Ucraina ha già compiuto una popolarizzazione delle relazioni internazionali e sono tanti gli Stati ad aver deciso da che parte stare e prima o poi la Cina dovrà prenderne atto. Inoltre, la divisione che si è prodotta all’interno della comunità internazionale ha evidenti conseguenze economiche che costringono il governo cinese a ponderare ogni decisione.
La fermezza con cui gli Usa e i Paesi occidentali hanno sganciato dall’economia globale la Russia, che vale il 2% del commercio mondiale, ha sicuramente sorpreso Pechino, che ha visto nel congelamento di 300 miliardi di dollari dei 640 in oro e valute estere detenuti dai russi una minaccia alla sicurezza dei propri asset esteri. La Cina rappresenta il più grande detentore al mondo di valuta estera, possedendo un trilione di dollari – a fronte dei tre complessivi – in Treasury statunitensi e rischia di subire un colpo durissimo dalla militarizzazione del sistema finanziario voluta dagli americani.
Uno scenario che rende le conseguenze del tentativo di riunificazione con Taiwan decisamente preoccupanti. Basti pensare all’impatto che potrebbero avere sul sistema finanziario cinese sanzioni come quelle che ha subìto la Russia. Una situazione in cui, dalla sera alla mattina, verrebbe bloccato l’accesso ai 3,21 trilioni di valuta estera depositati in banche americane ed europee.
La Cina ha bisogno di tempo per diversificare le proprie riserve e per preparare il terreno alla sfida definitiva al dollaro, tempo che potrebbe scarseggiare a fronte del precipitare della guerra in Ucraina. Parliamo di operazioni difficili e costose che implicano la decisione concordata di tanti operatori che sono disposti ad affrontare il rischio di grandi perdite.
Per tutelarsi è probabile che la Banca centrale cinese diversificherà il suo portafoglio, acquistando quote di debito dei paesi emergenti, ma al momento è impensabile che la Cina possa liberarsi del tutto del dollaro, perché ha bisogno di riserve di sicurezza per intervenire nel salvataggio delle società esposte all’instabilità del mercato immobiliare.
Una situazione difficile che potrebbe imporre a Russia e Cina di produrre dei propri circuiti finanziari alternativi in cui integrare sistemi di pagamento che potrebbero avere una certa attrattività per quel gruppo di Paesi un tempo definiti Brics. Già nel breve periodo converrà osservare con attenzione le mosse dell’India – il cui governo sta valutando la possibilità di utilizzare l’Spfs, l’alternativa russa allo Swift – e dell’Arabia Saudita, che ha sorpreso tanti aprendo alla possibilità di agganciare lo yuan al petrolio, ma di certo il terremoto imposto dall’amministrazione Biden al sistema monetario internazionale imporrà nuove soluzioni e risposte flessibili all’incertezza sistemica di questa fase.
L’incremento della centralità dell’oro e la decisione russa di agganciare il rublo all’oro ha fatto immaginare a tanti analisti un ritorno agli accordi di Bretton Woods – anche se forse sarebbe più corretto parlare di un nuovo Gold Exchange Standard –, ma al momento siamo lontani da una qualsiasi forma di nuovo ordine monetario.
All’orizzonte sembra configurarsi un sistema finanziario globale che viaggia su due binari monetari distinti – il dollaro e probabilmente lo yuan digitale –, che farà la fortuna di quei pochi hub che riusciranno a fungere da camere di compensazione. Una trasformazione già in atto che, al netto di pericolose escalation militari, si realizzerà nel prossimo futuro. Una strana forma di ordine nel caos, che avvantaggerà chi avrà gli strumenti finanziari e militari per limitare le conseguenze di un’incertezza sistemica ormai fuori controllo.
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