Il Libano, già devastato da una crisi economica e finanziaria che dura da circa tre anni, si trova adesso davanti a una nuova emergenza. Con la guerra in corso tra Ucraina e Russia, entrambi definiti i “granai del mondo”, il paese rischia il crollo totale. “Il Libano importa da Mosca e Kiev il 95% del grano. Gli ultimi dati disponibili sono quelli del 2020, da cui risulta che il Libano abbia importato l’80%, 630mila tonnellate, del suo fabbisogno di grano dall’Ucraina e il 15% dalla Russia.
Nel 2019 erano 535mila tonnellate” ci ha detto in questa intervista Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia e collaboratore di Avvenire. È un problema che interessa molti paesi poveri, soprattutto nel Nord Africa, tutti dipendenti dall’importazione di cereali dall’Ucraina. Che vista la situazione almeno per quest’anno dovrà rinunciare a ogni esportazione, sia perché i russi hanno sbarrato le vie di mare, sia perché i campi sono bombardati e quel che resterà dell’abituale raccolto dovrà essere destinato al fabbisogno interno.
La guerra in Ucraina metterà in crisi molti paesi del mondo, soprattutto quelli più fragili economicamente. Quali saranno gli effetti in Libano per quella che viene già definita una carestia alimentare globale?
Il Libano dipende quasi totalmente per le importazioni di cereali dall’Ucraina. All’inizio della guerra ci si è preoccupati subito di questo, di come compensare la mancata importazione. I granai e i silos del porto di Beirut sono già quasi vuoti, si è calcolato che le scorte disponibili potessero bastare al massimo per due mesi.
Adesso come è la situazione?
Il presidente del Libano durante la sua visita a Roma lo scorso mese ha incontrato il direttore della Fao e anche quello del World Food Program per chiedere aiuto, viste le già tante difficoltà che il Libano deve affrontare.
Che cosa ha ottenuto?
Il comunicato della presidenza ha annunciato che è stato garantito un aiuto sostanziale al Libano per compensare la mancata importazione di cereali. La farina a Beirut è già diventata un bene di lusso, le conseguenze di una forte mancanza potrebbe scatenare disordini sociali, si sono già registrati incidenti. A Beirut una persona che era in coda davanti a un panificio è rimasta ferita. Molti giovani hanno dato vita a un progetto, il Nation Station, per raccogliere cibo prodotto con ingredienti locali e distribuirlo ai più bisognosi.
Come si è posto il Libano rispetto alla guerra tra Ucraina e Russia?
All’inizio è stato combinato un mezzo disastro per via di un comunicato di condanna dell’invasione russa redatto dal ministero degli Esteri senza aver consultato il governo. Mosca si è lamentata aspramente, perché da qualche tempo esiste un partenariato economico, visto che ci stanno aiutando economicamente. Allora il governo ha fatto marcia indietro, mantenendo la condanna, ma auspicando trattative fra le parti per arrivare alla pace.
Siria e Iran, che sono fortemente legati alla Russia, avranno un trattamento privilegiato con rifornimenti di cereali russi?
L’Iran sicuramente no, il loro solo interesse è vendere petrolio. La Siria probabilmente. Teniamo conto che noi libanesi abbiamo la più importante base navale militare russa nel Mediterraneo a soli 20 chilometri dal confine, in territorio siriano. Scherzando, ma mica tanto, un libanese come me che vive in Italia si chiede se sia meglio in caso di guerra nucleare stare in Italia, dove le basi Nato diventerebbero obbiettivo di attacco, o a Beirut, che è così vicina alla base russa.
Quindi il quadro è oscuro e drammatico?
Esattamente. Settimana scorsa un barcone di persone che volevano fuggire dal Libano, partito da Tripoli, si è rovesciato, causando una trentina di morti. Non avevamo mai pensato che il Libano si sarebbe ridotto come la Libia o la Tunisia, ma questa ormai è la realtà.
Il prossimo 15 maggio ci saranno le elezioni, un appuntamento importante. Che previsioni si possono fare?
Il buio è totale. Ognuno interpreta il voto come gli pare, c’è una divisione totale. Il dato certo è che sperare nel cambiamento radicale tanto auspicato ormai è impossibile. Quelli che hanno partecipato alla rivolta dell’ottobre 2019 si presentano in diverse liste, il che significa una dispersione dei voti, tanto che rischiano di non arrivare al quorum per entrare in Parlamento. Si sta cercando di concentrarsi su una di quelle liste per garantire che qualcuno possa farcela, ma parliamo di 10-15 volti nuovi che si pongono in antagonismo rispetto alla vecchia classe. Ma stiamo parlando di 128 seggi in totale.
(Paolo Vites)
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