La raffica di sanzioni che l’Occidente sta imponendo alla Federazione Russa – siamo ormai alla vigilia del sesto pacchetto di misure – quanto male fanno all’economia italiana? La domanda aleggia da settimane, sospinta dalle nuvole scure della stagflazione (stagnazione più inflazione) che si stanno ammassando sul nostro Paese.
Il Def, per esempio, stima che un blocco del gas russo potrebbe erodere ben 2,3 punti percentuali al tasso di crescita del Pil 2022. Il Centro studi Confindustria avverte che l’export “è atteso debole”, il sentiment degli imprenditori è in calo, l’indice Pmi è sceso da 55,5 a 54,9 e i tassi di mercato a lungo termine nell’Eurozona stanno già salendo rapidamente, il che per l’Italia, Paese ad alto debito, è un problema, perché significherà avere “meno spazi di bilancio per mettere in campo una nuova manovra espansiva di finanza pubblica”.
Secondo Confartigianato, poi, le sanzioni hanno un effetto negativo su circa un milione di imprese, con oltre 5 milioni di addetti, di cui quasi sei su dieci occupati in micro e piccole imprese. I settori più penalizzati? Alimentari, moda, mobili, legno, metalli, gioielleria e occhialeria. Insomma, un quadro critico che il protrarsi della guerra e l’intensificarsi delle sanzioni potrebbe peggiorare. Che cosa dobbiamo temere? Pesano di più gli effetti diretti o quelli indiretti? E l’Italia rischia, come negli ultimi 20 anni, di cadere più in fretta in una recessione ma poi di uscirne più lentamente?
Ne abbiamo parlato con Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano e profondo conoscitore della Russia.
Quanto fanno male alla nostra economia le sanzioni imposte alla Russia?
Le sanzioni imposte alla Russia, di cui siamo co-protagonisti, fanno sicuramente male alla nostra economia da diversi punti di vista.
Quali?
Uno: c’è un effetto diretto rispetto al nostro export verso la Federazione Russa. Un export che, a onor del vero, è andato calando negli ultimi dieci anni: dai 10-12 miliardi del 2013 ai 7,6 del 2021, tanto che oggi la Russia rappresenta solo il 14esimo Paese di sbocco delle nostre esportazioni. Anche perché il mercato russo non ha performato, in senso comparato, altrettanto brillantemente come altri mercati.
Quali settori del nostro export potrebbero risentirne di più?
L’impatto diretto delle sanzioni sulla popolazione russa provoca i suoi effetti più negativi su alcuni comparti classici del made in Italy, in particolare lusso e agroalimentare.
Le sanzioni hanno anche effetti indiretti?
Certo, e sono molto più significativi. Di fatto la guerra ha innescato una reazione basata appunto sulle sanzioni, che, unitamente all’andamento del conflitto, hanno creato in tutto il mondo un clima di pesante incertezza. In tutti i mercati interessati al nostro export tutto ciò porta, sostanzialmente, le imprese a bloccare gli investimenti che avrebbero messo in campo e i consumatori a ridurre la loro propensione alla spesa.
Anche il turismo paga lo scotto di queste sanzioni?
Indubbiamente, anche se l’effetto non è generalizzato o spalmato su tutto il territorio, ma si concentra soprattutto su alcune aree ben circoscritte, e mi riferisco soprattutto alla Versilia e alla Romagna, dove la presenza di turisti russi era molto forte.
Abbiamo dimenticato il peso dell’energia, non crede?
Attenzione: il trend dei rincari di gas e petrolio era nettamente chiaro già prima della guerra, non facciamo l’errore di attribuire all’invasione dell’Ucraina un ruolo eccessivo. Dal 24 febbraio i prezzi medi, al di là ovviamente dei picchi, non hanno subìto forti scossoni.
Vero, resta però il fatto che il nodo energia è decisivo, a partire da un eventuale stop all’import di gas russo. In base all’ultimo Def, se avranno successo gli sforzi del governo per diversificare l’approvvigionamento di energia, l’effetto dell’eventuale blocco alla Russia si limiterà a ridurre il Pil 2022 di 0,8 punti, ma se la carenza di gas costringerà a razionare le scorte e a rallentare la produzione industriale il tasso di crescita dell’Italia subirà una contrazione di 2,3 punti percentuali, costringendo il Pil reale a crescere di appena lo 0,6%. Che ne pensa?
Mi sembrano stime ottimistiche. Tenga conto che la Germania, in caso di sanzioni sul gas russo, prevede un calo dell’economia del 5%. Visto il livello della nostra dipendenza da Mosca e tenuto conto che il gas, rispetto al petrolio, ha lo svantaggio di arrivare attraverso pipeline, un blocco dell’import di gas avrebbe conseguenze pesantissime per la nostra economia.
Che cosa si potrebbe o si dovrebbe fare?
Siccome nel brevissimo reputo nociva, perché è impossibile riuscirci, una sostituzione del gas russo, l’unica azione che possiamo fare è passare da 27 compratori di gas a un unico acquirente, che dovrebbe essere la Commissione Ue. Questa mossa – dal punto di vista attuativo semplice, ma politicamente molto complessa – avrebbe un effetto calmierante sui prezzi.
E sul medio-lungo periodo?
La questione del gas russo va affrontata in modo razionale e con visione, andando a scovare nuovi approvvigionamenti alternativi, a costruire nuovi gasdotti e a puntare con maggiore decisione sulle rinnovabili.
La Russia ha messo nel mirino anche l’Italia, minacciando più volte il ricorso a ritorsioni economiche: oltre all’energia, dove e quanto potrebbero far male alla nostra economia?
La Russia potrebbe adottare sanzioni contro i settori, già oggi indeboliti, di cui parlavo prima – agroalimentare, lusso, legno-arredo… – che ne uscirebbero ulteriormente colpiti.
Ucraina e Russia sono grandi esportatori anche di materie prime agricole, cereali in testa, e di fertilizzanti. Che cosa dobbiamo temere?
Storicamente, in caso di shock di questo tipo, i sistemi economici più evoluti hanno dimostrato buone capacità di adattamento attraverso l’innovazione. E mi aspetto che succeda anche in questo frangente, specie sul versante dei fertilizzanti: siccome da Bielorussia, Russia e Ucraina riceveremo quantità molto più ridotte, questo taglio molto probabilmente spingerà i produttori a innovare e a trovare nuove soluzioni. Tutt’altro che secondario e ben più rischioso, invece, sarà l’effetto geopolitico.
In che senso?
Ucraina e Russia sono grandi esportatori di grano soprattutto verso i paesi del Nordafrica. Le Primavere arabe sono nate sull’onda delle proteste contro i rincari e la carenza di pane. Tenuto conto che la Cina ha fatto razzia di cereali a fine 2021, in giro i magazzini sono abbastanza vuoti. Dovessero verificarsi oggettivi problemi di disponibilità di cereali e questo mettesse in crisi la produzione di pane in quei Paesi, la situazione in Europa e nel Mediterraneo potrebbe diventare pericolosa.
L’Italia rischia di scivolare in una recessione che può tramutarsi in stagflazione. Negli ultimi 20 anni la nostra economia è stata tra le più leste a entrare in crisi e tra le più lente a uscirne. Succederà anche questa volta?
Temo di sì. Il Pnrr rappresentava, e speriamo rappresenti ancora, una sorta di last call per l’Italia. Rispetto ad altri Paesi, europei e non, abbiamo un disperato bisogno di riforme, che rendano il paese molto meno fragile, pervaso com’è da troppa burocrazia e da atteggiamenti molto poco propensi allo sviluppo. Se l’Italia non sfrutterà il Pnrr, il trend cui accennava nella domanda troverà conferma. L’Italia ha un’occasione importante: non solo dal punto di vista geopolitico è al centro del Mediterraneo, il che la rende oggi più di ieri interessante agli occhi degli Stati Uniti, ma abbiamo anche un presidente del Consiglio di valenza europea come Draghi, quando la Germania deve ancora ingranare dopo 14 anni a guida Merkel. Se attuasse le riforme, l’Italia potrebbe quindi tornare a essere un attore centrale nel panorama geopolitico e geoeconomico internazionale. La mia paura è che l’arrivo di questa tragica guerra riorienti la politica, come sempre, su una visione di corto respiro.
(Marco Biscella)
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