Gli scienziati del Maryland hanno comunicato di avere individuato tracce di citomegalovirus suino nell’organismo dell’uomo che nei mesi scorsi ha subìto il trapianto di cuore di maiale geneticamente modificato. David Bennett, 57 anni, è deceduto poi a marzo, a distanza di 60 giorni circa dall’intervento, e da quel momento i ricercatori si sono a lungo interrogati per comprendere le cause della sua dipartita. Al momento non è stato ancora possibile capire se il virus animale possa avere avuto un ruolo nella morte dell’uomo, ma il dottor Bartley Griffith, colui che ha eseguito il trapianto, secondo il “Corriere della Sera”, “sospetta che la presenza del Dna del virus nel paziente potrebbe aver contribuito al peggioramento dello stato di salute del paziente un mese dopo il trapianto, ma non ci sono prove che abbia sviluppato un’infezione attiva con il virus o il rigetto d’organo”.
Jay Fishman, direttore associato del centro trapianti del Massachusetts General Hospital che studia le malattie infettive, ha commentato al “New York Times”: “Non sappiamo se quella sia la causa della morte, ma potrebbe aver contribuito a far stare male il paziente”.
CITOMEGALOVIRUS SUINO NELL’UOMO CON CUORE DI MAIALE TRAPIANTATO: IN CORSO TEST SOFISTICATI
A proposito del citomegalovirus suino che ha colpito l’uomo con il cuore di maiale trapiantato, il “Corriere della Sera” ha puntualizzato sulle sue colonne che l’animale era stato geneticamente modificato in modo che i suoi organi non provocassero il rigetto da parte del sistema immunitario umano ed era stato sottoposto più volte a screening per rilevare i virus, ma i test rilevano solo infezioni attive e non latenti: “Sono comunque in corso test più sofisticati per essere certi di rintracciare anche questi virus”, ha sottolineato Muhammad Mohiuddin, direttore scientifico del programma di xenotrapianti dell’università.
Il test a cui il signor Bennet era stato sottoposto aveva rilevato il Dna del citomegalovirus suino venti giorni dopo il trapianto, ma a un livello bassissimo, tanto che si pensava a un errore di laboratorio. Tuttavia, 40 giorni dopo l’operazione il paziente si è ammalato improvvisamente e si è osservato un incremento significativo di Dna virale: “Abbiamo pensato che il virus possa aver scatenato la malattia del paziente che è peggiorato in modo brusco”, hanno affermato i medici che hanno trattato il degente con farmaci antivirali e immunoglobuline per via endovenosa, non riuscendo a evitarne tuttavia la morte per accumulo di liquidi nel cuore.