MICHELE AINIS: “PARLAMENTO CALPESTATO DA 2 ANNI”
Al rientro dal viaggio negli Stati Uniti (10-11 maggio), è previsto per il 19 maggio il question time del Premier Mario Draghi in Parlamento: dopo le richieste del M5s di Conte e dei gruppi di sinistra in Camera e Senato, la presenza del Presidente del Consiglio non soddisfa appieno i suoi detrattori. Draghi viene accusato di quello che lo stesso Conte vedeva contestato durante la sua permanenza a Palazzo Chigi: lo scarso “rapporto” con il Parlamento, o quantomeno una mancanza di costante trasparenza sulle scelte prese dal Governo.
Nella sua lunga intervista a “La Verità”, il giurista e costituzionalista Michele Ainis riflette proprio sul rapporto tra Stato e Parlamento, evidenziando la mancanza strutturale di uno standing maggiore per l’istituzione delle Camere: invio armi e aiuti all’Ucraina, sanzioni economiche e quant’altro, su questi punti in molti criticano la quasi “autonomia” dell’esecutivo. «Parlamento esautorato? È stato relegato in un angolo, com’era già successo con l’emergenza sanitaria. Invece la Costituzione stabilisce che le Camere deliberano lo stato di guerra», spiega ancora Ainis al quotidiano diretto da Maurizio Belpietro. .
“ARMI, COVID E… ”: PARLA IL GIURISTA AINIS
La critica del giurista Ainis all’attuale Governo Draghi è pari dunque a quella per il precedente Conte-bis: il problema di fondo è la considerazione del Parlamento, ben più di una semplice “buona educazione giuridica”: «Che le Camere dovessero essere costantemente informate era già previsto. Il fatto è che l’informativa relega l’informato a un ruolo puramente passivo. Ma nel momento in cui si prospettano dei cambi di scenario – per dire: il passaggio dalle fionde ai razzi – non basta più un’informativa».
Secondo l’esperto di Costituzione Michele Ainis, l’articolo 78 della Carta già chiarisce quello che il Parlamento avrebbe dovuto assistere in queste settimane: «mentre la gestione esecutiva e operativa della guerra è affidata al governo, la direzione della guerra in senso politico spetta al Parlamento. E il Parlamento non può essere coinvolto solo episodicamente». Il punto è formale ma importante: non si discute per il momento del merito della questione (l’invio di armi o meno) ma del fatto che il Parlamento non sia stato praticamente coinvolto in tali decisioni. C’è una evoluzione in positivo rispetto all’epopea dei Dpcm di Conte e Casalino, ma resta comunque un problema di fondo, conclude Ainis: «Almeno, se per licenziare un dpcm basta che il solo presidente del Consiglio si svegli una mattina, un decreto interministeriale, in quanto tale, ha bisogno che a svegliarsi una mattina siano almeno in due. Nel caso delle armi all’Ucraina, in tre: i ministri della Difesa, degli Esteri e dell’Economia».