La presa di posizione del Presidente francese (riconfermato) Emmanuel Macron a favore di una nuova “comunità politica europea” ha avuto come punto di caduta principale la guerra russo-ucraina. È stato evidente il rilancio dell’Eliseo a favore di un cessate il fuoco quanto più ravvicinato, attraverso qualunque carta di mediazione possa essere giocata: come quella di una “patente europea” più significativa della semplice domanda di adesione all’Ue, nel progress (prevedibilmente non velocissimo) di quella presentata dall’Ucraina nel fragore del conflitto con la Russia.
Nel frattempo, tuttavia, è la “comunità europea” esistente a dover certamente affrontare sfide di cambiamento. Ed è verosimile che la proposta appello di Macron abbia avuto come destinataria l’Ue: che non è teatro di guerre, ma che è attraversata dalle onde sismiche di quella in corso ai suoi confini orientali. Se non rifondata, l’Ue va sicuramente ricostruita: e il Presidente francese ha tutte le carte in regola per lanciare un suo peculiare “whatever it takes”. Era stato lui – tre anni fa – a riannodare le fila della resistenza annunciata con vigore nel 2012 da Mario Draghi, allora Presidente della Bce, sul fronte principale: quello dell’euro. Forse non è superfluo ricordare che nel luglio di dieci anni fa un euro valeva 1,21 dollari, sicuramente in calo rispetto agli 1,42 di un anno prima; ma certamente al di sopra degli 1,05 di ieri, ormai in caduta libera a breve sotto la parità.
Era stato Macron – assieme ad Angela Merkel, forse già un po’ usurata alla vigilia della pandemia – a chiedere un biennio di “manutenzione straordinaria” della governance economico-finanziaria dell’Unione. I problemi sul tavolo allora – la convergenza delle finanze pubbliche e un’integrazione consolidativa della competitività industriale del Continente dopo la Brexit – sono ovviamente intatti e semmai aggravati dopo la pandemia e lo showdown russo-ucraino. Rimane sul tappeto anche la principale ipotesi di lavoro: un’evoluzione e flessibilizzazione delle strutture e dei meccanismi dell’unione economico-finanziaria.
Era parte integrante di quel dossier aperto il superamento dell’unanimità nelle decisioni: dì bollente attualità oggi riguardo le sanzioni anti-russe. Era centrale, nell’impulso riformistico franco-tedesco, la sfida dei disallineamenti fra Paesi al setaccio rigido dei vecchi parametri di Maastricht. Era delineata la nascita di un “ministro delle finanze Ue” con il compito di coordinare bilanci, debiti e crediti “compact”: ad esempio quelli che l’Europa ha deciso di movimentare con il Recovery Fund.
Il “whatever it takes” 2.0″ affermato da Macron non suona solo per l’Ucraina: ma per i 26 dell’Ue stretta fra Usa ed “Eurasia”.
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