Caro Direttore,
non basta portare un cappello verde con una penna nera per fare di un alpino un Alpino. Così come non basta indossare una qualsiasi divisa per essere davvero al servizio del Paese. Ma quanto accaduto – se, come sembra, è davvero accaduto – lo scorso fine settimana a Rimini a margine dell’adunata nazionale del Corpo degli Alpini, con centinaia di presunte molestie a sfondo sessuale denunciate all’organizzazione femminista “Non Una di Meno” (si attendono le denunce alle autorità di polizia), va al di là di consimili episodi di cui purtroppo sono piene le cronache di tutti i giorni.
Perché nella storia, nel cuore e nell’immaginario collettivo di questo Paese che agli Alpini deve moltissimo, tanto in pace quanto in guerra, gli uomini in grigioverde e la penna sul cappello sono amati come forse nessun altro corpo militare. Troppo profonde, troppo radicate nel tessuto culturale della nazione le loro gesta (quante piazze, vie, monumenti sono dedicati a personaggi, battaglie, fatti concreti che hanno visto la presenza, spesso eroica, degli Alpini?) perché si possa “passare oltre” come nulla fosse accaduto. E’ quanto viene alla mente leggendo e rileggendo con stupore le parole del presidente dell’Associazione Nazionale Alpini, Sebastiano Favero, riportate da tutta la stampa: “Quando si concentrano in una sola località centinaia di migliaia di persone per festeggiare, è quasi fisiologico che possano verificarsi episodi di maleducazione”.
Eh no, caro Comandante di Compagnia, non ce la possiamo cavare così. Per almeno due motivi: anzitutto perché potrà anche essere fisiologico, ma ciò non ne attenua la gravità; poi perché è la prima volta che ad una adunata di Penne Nere vengono denunciati fatti di questa gravità e in queste proporzioni. Significa, forse, che anche tra le sue file fatte di uomini generosi, altruisti, sempre pronti a spendersi per gli altri, alberga gentaglia di quella specie? Oppure che le mele marce vengono da fuori, che si sono infiltrate nell’adunata approfittando della situazione del momento, indossando uno pseudo cappello alpino in una bancarella e illudendosi così di poter fare il bello e cattivo tempo? Se anche così fosse, sarebbe il segnale di una incrinatura dell’immagine – sino ad oggi solida – degli Alpini fra la gente. E non sarebbe un “male minore”.
Il curriculum del presidente Favero, così come risulta dal sito del Ministero della Difesa, è lungo un chilometro e di tutto rispetto per la quantità di opere buone di cui è stato artefice o che ha contribuito a realizzare. Una per tutte perché basta il nome a scolpirne nella roccia il valore: “Membro della Commissione di Rossosch dalla costituzione per la costruzione dell’Asilo “Sorriso” in terra di Russia”. Rossoch, cui è associata Nikolajewka, cioè la ritirata di Russia. Per chi possiede un minimo di memoria e amor patrio, non occorre aggiungere altro.
Gli Alpini attendono una presa di posizione più chiara e più decisa. Tutto è ancora ben lungi, ripetiamo, dall’essere formalizzato davanti alle autorità giudiziarie e non vogliamo certo avanzare sentenze. Però il buon nome degli Alpini, in una terra che fa della montagna gran parte della sua geografia e della sua storia, non può essere infangato, anche perché a fronte dei tanti italiani che vedono nelle Penne Nere un valore, ve ne sono altri pronti a misconoscerlo: a poche ore dal fine settimana riminese è infatti partita una raccolta firme nazionale per chiedere una moratoria di almeno due anni nelle adunate alpine. Sarebbe un colpo basso difficile da parare per quanti – la stragrande maggioranza o forse anche più – vogliono continuare a indossare con orgoglio il cappello con la penna nera. Ma vogliamo anche lasciare aperta la porta all’ipotesi che, come s’è sentito dire, si voglia gettare discredito sul mondo Alpino, macchiarne l’immagine, infangarlo. A quale scopo, è difficile dire.
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