Maggio: è tempo di partire. Tornano, dopo due anni di stop dovuto alla pandemia, le gite scolastiche, croce e delizia dei docenti di ogni ordine e grado. Croce, perché organizzare una gita scolastica, realizzarla e rendicontarla è diventata un’impresa che mette spesso a dura prova ogni umana pazienza. Innanzitutto occorre proporre e far approvare la gita al consiglio di classe, trovare gli accompagnatori, in numero sufficiente. Si passa, quindi, alla richiesta formale in segreteria con moduli ipertrofici da compilare e da sottoporre all’approvazione del collegio docenti. Se tutto procede liscio, si compilano comunicazioni e circolari, si redige il programma della gita, si contattano le strutture da visitare, si effettuano prenotazioni etc. etc. etc.
Se non si è arrivati esausti e scoraggiati fino a questo punto, occorre affrontare il più invalicabile degli scogli che metterebbe in seria apprensione anche il più intraprendente degli uomini: la firma e conseguente assunzione di responsabilità dell’accompagnatore che, novello Atlante, si fa carico, tra le altre cose, di effettuare ricognizioni dei mezzi di trasporto per verificarne l’idoneità (sic!) o di verificare che tutte le strutture accoglienti rispettino gli standard di sicurezza fissati dalla legge. Sia chiaro, onde evitare spiacevoli fraintendimenti: il tutto è affidato alla gratuita buona volontà del singolo docente organizzatore.
Eppure, nonostante dolorosi ed estenuanti travagli, le gite sono anche una delizia. Sarà che sono reduce dall’ultima delle tre gite a Roma organizzate quest’anno per le mie classi, ma mi sembra che nella visita didattica si concentrino una serie di esperienze formative fondamentali per gli attori della scuola. Docenti e studenti convivono, in un ambiente decisamente meno formale dell’aula scolastica, per numerose ore insieme: lo studente guarda il docente-adulto rapportarsi con tutta la realtà, osserva come prende un caffè, come scherza (se scherza), cosa vede e dove guarda quando è davanti a un monumento, come si rapporta con gli altri, come si rapporta con loro. Gli studenti ci guardano, ci scrutano in ogni momento del vivere – da dietro e sotto la mascherina in questi ultimi due anni, ma continuano a farlo –, sempre. Guardano con che postura entriamo nel reale, nella vita di tutti i giorni. Noi docenti facciamo altrettanto, indaghiamo e scopriamo lati dei nostri alunni che mai avremmo immaginato in altre circostanze.
L’esperienza dello studio si fa cammino, carne e sudore, pellegrinaggio: il corpo è chiamato in causa tanto quanto la mente e deve aderire anche lui a quanto proposto. La scuola diventa (o può diventare) ricreazione e gioco. Mi piace immaginare alcuni momenti di svago nelle gite, che non siano l’ora di “libertà” in cui inevitabilmente ci si butta nello “struscio” al corso o nello shopping compulsivo. Nell’ultima di queste gite ho portato i ragazzi delle mie due prime a Villa Celimontana per pranzare e giocare insieme. Abbiamo giocato per un’ora e mezza e tutti si sono coinvolti, tanto nei giochi più fisici quanto in quelli più “intellettuali”. Alla fine, dato che dopo due giochi si era arrivati alla parità fra le due squadre, ho proposto loro, come spareggio, il più classico e vecchio dei giochi: mettere “fisicamente” in scena un’opera d’arte, nella fattispecie “La Libertà che guida il Popolo” e la “Scuola di Atene”. I ragazzi avevano 20 minuti per organizzarsi, reperire materiali di fortuna e “mettere in scena” l’opera. Unico vincolo: tutti gli studenti dovevano prendere parte al “quadro”. Mentre li vedevo prepararsi, correre avanti e indietro a prendere libri, foulard e quant’altro mi sono fermato e ho pensato a quanto tutto questo fosse significativo: si respirava un’inedita unità, un concreto senso di appartenenza nella sana competizione fra classi (con tanto di inevitabili cori da stadio intonati anche dai più insospettabili!) e ognuno, con quel che aveva a disposizione, dava il proprio contributo all’obiettivo comune. Quando ho visto ciascuna opera in scena (due capolavori!) ho maliziosamente pensato: ecco il lavoro finale di educazione civica! Ma in realtà il pensiero non era né malizioso né peregrino…
Sul treno l’aria era eccitata: mentre già al “travaglio usato” ognuno faceva ritorno col pensiero, gli occhi di tutti brillavano di un non so che di misterioso e imprevisto, forse un po’ come quando nel film Il Ritorno del re, Frodo, Sam, Merry e Pipino si bevono una birra insieme, dopo essere tornati nella Contea: sono in silenzio, ma nei loro occhi brilla ancora e per sempre quella straordinaria avventura condivisa. Da qui si riparte e si torna a correggere compiti (o a farli) con negli occhi un nuovo inedito segreto nascosto.
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