NEW YORK – Questa mattina sono stati i gabbiani a svegliarmi. Spesso dimentico che New York è una città di mare. Eppure ha questa sua luce brillante per cui, quando il sole splende, gli edifici di vetro si trasformano in specchi e si riflettono l’un l’altro, come se la città stessa mettesse in scena uno spettacolo per i suoi abitanti per farli vivere tra sogno e realtà.
Vivo a New York da otto mesi. Tutto ciò che riguarda la città sembra essere già stato scritto, e anche chi non ci è mai stato ha in mente le immagini familiari dello skyline, di Central Park sotto la neve o dei taxi gialli che si possono fermare semplicemente alzando il braccio. New York è tutto questo e molto di più. Grattacieli che ci costringono ad alzare la testa verso un cielo che sembrano voler raggiungere in una perenne sfida alla gravità, strade squadrate che dettano il ritmo, viali che sembrano infiniti e il cui punto di fuga fa girare la testa a chi lo cerca. New York ha un senso dello stile, tra territori chic e quartieri super trendy dove il buon gusto e il cattivo gusto si sfiorano in uno spirito di bonarietà. In una città che fa le tendenze, dove i negozi aprono e chiudono continuamente, competere con audacia e inventiva per creare una tendenza che tutti abbracceranno è un obbligo.
Gli abitanti giocano la partita incarnando l’energia che la città trasmette, la diversità che rivendica. Vivono come vogliono, mostrano ciò che vogliono di loro, senza paura del giudizio. Il sentimento di poter esprimere la propria identità senza vincoli è potente e galvanizzante. Si mostrano segni religiosi, si esprimono generi sessuali, si incrociano comunità, sempre senza giudicarsi, forse magari senza vedersi.
“New York go easy on me” dice la canzone dei Chainsmokers. New York ti porta via corpo e anima nella sua energia, incarna l’American dream per tutti coloro che vogliono ancora crederci. In questa città che ospita un milione di milionari e che il gala del Metropolitan Museum, tra lustrini e buone intenzioni, fa brillare ogni anno agli occhi del mondo, basta allontanarsi dalla luce, abbassare la testa per vedere per strada, nella metropolitana, anche la miseria sociale e il disagio psicologico. Coloro che fanno fatica ad incarnare il “great again”, il sempre più in alto, più lontano, più veloce, fanno anche battere il cuore della città. Il sogno americano non sembra riconoscersi nella fragilità o la tristezza o il fallimento. È un peccato. La povertà è un insulto alla dignità. Impedisce di sognare il futuro e di vivere liberi, anche nel Paese che incarna la libertà nel mondo.
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