Le mascherine che dovevano arrivare a Napoli nel terzo 2020 dalla Russia in realtà rientravano in un piano, forse ordito dal Cremlino, per minare tramite l’Italia l’unità della Nato. Dovevano essere spedita da una presunta associazione culturale di Sebastopoli e dai veterani della Flotta del Mar Nero. Quindi, accettando l’aiuto dalla Crimea, il nostro Paese si sarebbe messo in imbarazzo cong li alleati, visto che l’Ue aveva emesso le sanzioni contro Mosca per l’annessione della Crimea del 2014. Questo è quanto rivelato dal giornalista Pavel Broska Semchuk, il quale sostiene di essere stato torturato dagli 007 russi per questa vicenda. «Pensavano fossi una spia dell’Europa, per questo mi hanno sequestrato e picchiato», dichiara nell’intervista resa a Il Messaggero.
Sarebbe accaduto dopo la pubblicazione di un articolo sul sito Crimea24 in cui faceva luce su quell’operazione poi saltata. Pochi giorni dopo il presidente russo Vladimir Putin e il premier italiano Giuseppe Conte si sono sentiti. Il giorno successivo all’aeroporto di Pratica di Mare arrivò il primo dei nove voli con aiuti e medici. Dopo l’invasione dell’Ucraina è scappato in Italia, con l’aiuto delle Camere penali del diritto europeo e internazionale, dipartimento di studi diplomatici che dà spazio alle voci democratiche russe e combatte la russofobia.
MASCHERINE A ITALIA? UN “CAVALLO DI TROIA”…
«A inizio pandemia, quando il Covid nel vostro Paese mieteva vittime, una tale Anna Kaskova, direttrice del Centro per la cultura e la lingua italiana di Sebastopoli, che in realtà aveva l’obiettivo di guadagnare e non di promuovere l’Italia, si era offerta di inviare un milione di mascherine», racconta Pavel Broska Semchuk a Il Messaggero. Così ha cominciato a indagare per capire dove fossero finite e perché dovevano arrivare a Napoli. «Ho scritto sul sito internet di Crimea24 un articolo svelando che in realtà quelle mascherine non c’erano e da lì sono iniziati i miei problemi». In primis, i russi gli avrebbero fatto cancellare l’articolo, poi avrebbero ordinato di licenziarlo.
«Una notte, grazie a Dio non c’erano mia moglie e mia figlia in casa, sono arrivati degli agenti dei servizi segreti russi: hanno messo sottosopra tutto per cercare le prove che dimostrassero che lavoravo per gli europei». La sua ipotesi è che pensavano fosse una spia. «Mi hanno caricato in una macchina con i vetri oscurati, per non farmi capire dove stavamo andando, e portato in una stanza dove mi hanno tenuto per tre giorni. Ogni tanto qualcuno entrava e mi picchiava». Lui però non ha parlato, quindi lo avrebbero abbandonato per strada ordinandogli di tacere. A quel punto ha lasciato la Crimea, ma sua moglie e la figlia sono in Russia, quindi ha paura per loro.