Sesto Calende, la mitica Aula consiliare dove Carlo Carlini portò a esibirsi centinaia dei migliori e storici folksinger e cantautori degli anni 60 e non solo. “Perché andare fino in America se posso portarli a casa mia?” diceva sempre, non un professionista del settore, ma un amante della musica, cosa che fa la differenza, in meglio ovviamente. Bob Neuwirth a casa di Carlo ci veniva spesso, anche solo per farsi una vacanza. Quella bella casa, una vecchia fattoria nel verde vicino a un laghetto e ai boschi, fuori dal caos metropolitano, sembrava la Big Pink dove Dylan e la futura The Band incisero i leggendari basement tapes. Ti affacciavi in quella casa e c’era sempre una leggenda che appariva da qualche parte: Eric Andersen, Ramblin’ Jack Elliott, Joe Henry, e Bob Neuwirth, che qui veniva a dipingere, l’altra sua grande passione oltre alla musica.
Quella sera, all’Aula consiliare, si esibiva un ancora giovanissimo Joe Henry. Neuwirth era tra il pubblico, poi scomparve e tornò con pezzi di scotch bianco appiccicati sul viso e salì sul palco. “Sta imitando i tempi della Rolling Thunder Revue, quando si dipingevano la faccia di colore bianco” mi disse la sua compagna davanti al mio sguardo allibito. “Ma lui e Bob (Dylan) si vedono ancora?” chiesi, troppa la curiosità. “No, da molti anni no. Ma lui lo considera sempre il suo fratello di sangue ed è convinto che prima o poi torneranno a lavorare insieme”. Non successe mai. Bob Dylan ha fatto sua la filosofia del “don’t look back”, mai guardarsi indietro, e così ha fatto con i tanti amici con cui ha condiviso i primi anni della sua carriera. Non chiedete perché. Adesso non c’è più il tempo, Neuwirth ha indossato, come diceva in una delle sue più belle canzoni, Dead man’s clothes, gli abiti del morto.
Originario di Akron, Ohio, dove era nato nel 1939, giovanissimo venne attratto da quella che era la prima e originaria scena della nascita del movimento del folk revival, a Cambridge, nel Massachusetts, dove cominciò a farsi un nome insieme a Joan Baez, Judy Collins, Tom Paxton. Era “hip” prima che ci fossero gli hipster: vestito di nero, occhiali neri, cinico senso dello humor, capacità di scrivere canzoni sbalorditive (l’amico Steven Soles ricorda di come le improvvisasse sul momento, senza prenderne nota, per dimenticarle subito e passare a una nuova, proprio come un pittore che lancia schizzi sulla tela e si muove su altro, un genio) e anche doti di pittore.
Il giornalista Colin Irwin lo definì in modo appropriato “Pittore, road manager, assistente, confidente, scagnozzo, poeta, eroe di culto clandestino, donnaiolo, organizzatore di feste, autoproclamato re del cool e fustigatore spietato di Joan Baez, Donovan e qualsiasi altro sfortunato che finiva nella linea di fuoco dei suoi colpi cattivi, Neuwirth divenne un regista e un cantautore credibile a pieno titolo, scrivendo la meravigliosa Mercedes Benz con la sua amica Janis Joplin”. Ma non solo.
Tra il 1963 e il 1965 fu il compagno inseparabile di Bob Dylan: quando Neuwirth cominciò a frequentare Dylan, il carattere di questi cambiò completamente. Neuwirth era molto abile nell’incitare l’ego e l’orgoglio delle persone e Dylan, che stava diventando la star più famosa al mondo, con quell’atteggiamento ci andò a nozze. I due possedevano lo stesso approccio cinico e sfrontato, formavano una copia di latin lover, escludevano chiunque non gli andasse a genio dalla loro cerchia magica, prendevano in giro gli altri, li umiliavano. La loro vittima preferita era Phil Ochs. Neuwirth lo si vede continuamente nel film di Pennebaker, Don’t look back. E’ anche la figura dietro a Bob Dylan, di cui si vedono solo le gambe, sulla copertina di Highway 61 Revisited. Poi fece l’errore di mettersi insieme all’attrice Edie Sedgwick con cui Dylan aveva avuto una relazione clandestina mentre stava per sposarsi con Sara Lownds e lo cacciò dal suo giro, scrivendo sui due acidi canzoni piene di gelosia furente come Leopard skin pill box hat. E’ sempre lui che appare nello storico video clip di Subterranean homesick blues, nel vicolo a parlottare con Allen Ginsberg dietro a Dylan e fu sua la geniale idea di commentare il video con fogli di carta estratti uno a uno da Dylan, copiata da centinaia di cantanti in seguito.
Si sarebbero ritrovati solo a metà anni 70, quando Dylan, solo e sfiduciato, era andato a ritrovare stimoli dove aveva mosso i primi passi, al Greenwich Village.
Nel frattempo Neuwirth aveva lavorato con Jim Morrison: essendo un fortissimo bevitore, era stato messo a fianco del cantante dei Doors per contenere il suo devastante alcolismo, ma aveva dovuto abbandonare. Impossibile farlo smettere di bere. Trasferitosi a Los Angeles, era diventato intimo amico di Janis Joplin per la quale scrisse la divertente Mercedes Benz insieme al poeta beat Michael McClure. Stavano morendo tutti però, da Jim Morrison a Janis Joplin così tornò a New York.
Nel 1974 ottenne dall’Asylum di David Geffen un contratto pazzesco per esordire finalmente su disco: fu l’album più costoso da registrare dell’epoca, con un cast stellare e un numero spropositato di musicisti. Non vendette quasi niente, ma era bellissimo, autentico manifesto del country fuorilegge alla Kris Kristofferson.
Ritrovato Dylan, i due inventarono la Rolling Thunder Revue con i vecchi amici del Village, un carrozzone di poeti, cantanti, peccatori e santi, carichi di cocaina e visionarietà.
Neuwirth ne combina qualcuna di troppo e capisce che deve darsi una calmata: per anni lavorerà, una volta disintossicato, a Los Angeles a un centro di recupero per alcolizzati, tra i suoi clienti anche Johnny Cash.
Nel 1988 finalmente torna alla musica, incidendo con un pugno di amici tra cui T-Bone Burnett il bellissimo Back to the front, canzoni dirette, semplici, incise intorno a un tavolo. Diventa mentore di una nuova leva di cantautori, tra cui Peter Case con il quale scrive Beyond the blues, definita da Bruce Springsteen la più bella canzone degli anni 90. Seguiranno altri tre dischi, tutti bellissimi: 99 Monkeys, Look up e Havana midnight, quest’ultimo registrato a Cuba con un famoso pianista jazz del posto. Per Look up invece parte per andare a casa dei tanti amici conosciuti negli anni e scrivere con loro canzoni: Patti Smith, Elliott Murphy, Tom Russell, Peter Case. Poi un disco in coppia con l’ex Velvet Underground John Cale, conosciuto ai tempi della Factory di Andy Warhol: “Odio quel disco, Cale è la persona più noiosa che conosco” mi confidò.
Lavora anche nel cinema, collaborando alla stupenda colonna sonora di O Brother where are thou e altri progetti.
Viene spesso in Italia. Non è più l’uomo acido e maligno della gioventù. E’ un tranquillo signore, piacevole, divertente, acuto, che beve solo acqua e non fuma, ma non perde il vizietto di “colpire”. Una sera a Sesto Calende si esibisce una brava e soprattutto bellissima cantante scoperta da Bob Dylan. Leggenda vuole che Dylan l’abbia invitata a casa sua per farle un provino, abbiano composto insieme dei pezzi, le promette un grande futuro. “Se la sarà portata a letto” è il commento di Neuwirth.
Una sera Carlo lo portò a suonare in uno dei più piccoli club di Milano, lui da solo con la chitarra acustica, sconosciuto a tutti i presenti, motociclisti ubriachi che schiamazzavano. A un certo punto mette giù la chitarra e si alza: “I came all the fuckin’ way from Los Angeles to play in such a shit place”, sono venuto fin da Los Angeles per suonare in questo posto di merda, dice e se ne va.
Quella sera gli avevo portato il nuovo numero della rivista per cui lavoravo, che conteneva una intervista che gli avevo fatto sui tempi della Rolling Thunder Revue. In copertina Bob Dylan. La prende e la getta via: “Basta Bob Dylan sempre in copertina! Sono passati decenni, la musica è cambiata!”.
Caro vecchio Bob. Quella notte che andammo in Svizzera con Eric Andersen, un’altra delle tue vittime del Greenwich Village. Ma adesso i tempi erano cambiati, eravate buoni amici tranne quando Eric continuava a chiedere di Bob Dylan. E lui sbottò: “Chi cazzo sei, un agente della Cia? Basta con queste domande”. Al confine lo prese la paranoia, aveva dimenticato il passaporto: “Cazzo cazzo, gli svizzeri sono tedeschi, sono nazisti, mi arresteranno!”. Per fortuna non chiesero i documenti. Al ritorno avevamo progettato di cenare in un bel ristorante che ci aveva consigliato Carlo, ma ci perdemmo. Finimmo in uno schifo di bar a mangiare sandwich.
La sera successiva al concertone per i trent’anni di carriera di Bob Dylan ne guardammo alcuni pezzi insieme a casa di Carlo. Si lamentava delle riprese, “lo stile Mtv” lo chiamava, con quelle fastidiose immagini velocissime che cambiano di continuo senza permettere di concentrarsi su un artista o l’altro. Aveva ragione.
E’ stato un piacere parlare e passare serate con te, Bob, a parlare di una delle tue tante passioni, come la pesca subacquea, uomo curioso e impossibile da imbrogliare. L’ultimo di una specie. Come ha scritto il tuo vecchio amico Dylan nella sua autobiografia, “Come Kerouac aveva immortalato Neal Cassady in On the Road, qualcuno avrebbe dovuto immortalare Neuwirth. Era quel tipo di personaggio”.