Arrivano segnali preoccupanti dall’economia della Cina: per la prima volta dal 1974 gli Stati Uniti cresceranno più del Dragone. Quando Xi Jinping si avvicina al decisivo ventesimo Congresso del Partito comunista, da cui dovrebbe ricevere lo storico terzo mandato, scatta un campanello dall’allarme e Pechino deve correre ai ripari. Va letta in questo modo, secondo quanto ricostruito da La Stampa, la decisione di ieri della Banca centrale, che ha immesso 10 miliardi di yuan, poco meno di 1,5 miliardi di euro, nel sistema bancario così da garantire la liquidità necessaria. Inoltre, ha tagliato a sorpresa di 15 punti base i tassi sui prestiti a 5 anni, portandoli dal 4,60 al 4,45%. Si tratta di una decisione in controtendenza rispetto alle banche centrali globali, che serve a sostenere un’economia che sta palesando qualche difficoltà.
Raggiungere il target di crescita annuale del 5,5% per la Cina sarà a dir poco complicato, visto che ad aprile la produzione industriale ha subito un rallentamento del 3%. Invece le vendite al dettaglio sono crollate dell’11% su base annuale. C’è poi l’indice Caixin sceso al 36,2, quindi al di sotto della media del 50. Questo vuol dire che la maggior parte delle imprese hanno avuto una contrazione delle attività. Non se la passa meglio il mercato immobiliare: le vendite sono sprofondate del 46,6%.
PERCHÈ L’ECONOMIA CINESE PREOCCUPA
La fotografia scattata da La Stampa giustifica le preoccupazioni riguardo l’economia cinese. Le ragioni sono molteplici, a partire dalle restrizioni anti Covid volute da Xi Jinping. La disoccupazione è salita al 6,1%, dato vicino a quello registrato durante la pandemia Covid. Ma desta timori anche il dato che riguarda i giovani tra i 16 e 24 anni, in quanto il tasso di disoccupazione è arrivato al 18,2%. Quell’obiettivo di diventare una moderna società di consumi appare lontano per Pechino. Le casse statali poi sono meno floride. Del resto, il mese scorso le entrate fiscale sono calate del 41% a causa del sostegno fornito alle imprese per sostenere l’impatto delle restrizioni. Il fatto che non si intraveda l’inizio dell’era post Covid aggiunge altre preoccupazioni. C’è stata la rinuncia a ospitare la Coppa d’Asia di calcio del 2023, competizione per la quale erano stati costruiti impianti nuovi: questa è la conferma che la riapertura è lontana.
Tutto questo quadro spiega il motivo per il quale aziende straniere, così come gli investitori stranieri, stanno scappando dalla Cina. Secondo quanto riportato dal Financial Times, ad aprile ci sono state cessioni addirittura per un equivalente di 16 miliardi di dollari di debito cinese. Nel primo quadrimestre del 2022 sono state scaricate obbligazioni per 35 miliardi. Ci sono poi sondaggi effettuati dalle camere di commercio straniere in Cina secondo cui aziende americane ed europee stanno pensando di andare via. Ne pagano il prezzo anche i colossi hi-tech. Ora per limitare i danni il Partito comunista pensa ad allentare la stretta sul settore privato, ma crescono i malumori, soprattutto sulla strategia zero Covid.