Aldo Moro, l’alieno nel mondo del potere

È nelle sale "Esterno notte" di Marco Bellocchio sul rapimento Moro. Il grande livello artistico rimane prigioniero di una visione sottilmente manichea

Sono andato a vedere Esterno notte sabato pomeriggio appena dopo pranzo, proiezione delle 14.30, durata tre ore, spettatori in sala cinque, compreso il sottoscritto. Esterno notte è il film-serie tv di Marco Bellocchio sul sequestro e l’uccisione, nel 1978, del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro ad opera delle Brigate rosse. Non mi sono addormentato: non ne ho neppure corso il rischio. Il che esprime e certifica il mio indice di gradimento, non essendo peraltro il sottoscritto né un cinefilo né un critico competente.

Come è noto l’opera di Bellocchio, presentata a Cannes, è una serie di sei puntate di circa un’ora ciascuna. Nelle sale ora vengono proiettate le prime tre, le altre lo saranno a giugno. La prima metà, quella che ho visto, copre il periodo di tempo fra metà marzo, vigilia del rapimento, e il 22 aprile, giorno dell’appello di Paolo VI agli “uomini delle Brigate rosse” per la liberazione dello statista amico. La seconda tranche arriverà sino all’omicidio di Moro avvenuto il 9 maggio.

Bellocchio non ha un intento cronachistico, né intende svelare alcunché di non già saputo. Il suo lavoro appare più uno scavo nella personalità e nell’intimo complesso dei protagonisti che abitano le stanze del potere politico, principalmente Cossiga, Andreotti, Moro stesso (con la moglie Norina), e nelle stanze vaticane, principalmente il papa Paolo VI.

La narrazione mescola il vero, il verosimile, il romanzato, l’invenzione fortemente suggestiva: per esempio i 20 miliardi in banconote per il riscatto ammucchiati sul tavolo del papa e coperti con un telo; le allucinazioni di Cossiga chiuso in un loculo buio; Moro che porta la croce come Gesù al Calvario, coi democristiani che osservano tra ebetismo ed estraneità. Ne viene fuori una sorta di psicodramma, ricco di iperboli, di robe ingigantite, in cui si intrecciano punto di vista politico e punto di vista psicoanalitico (ricordo negli anni 70 la rivista Utopia che raccordava analisi marxista e psicoanalisi, credo che il ceppo originario sia più o meno quello).

Il percorso psicologico è anche laborioso e complesso, ma lo schema soggiacente, che a un certo punto mi è apparso precostituito e ideologico, è semplice. Moro è buono, umano, vero riformista, aperto ai comunisti, avanti sui tempi. Quasi un alieno in quel mondo del potere dove si aggirano, invece, figuri grigi, menti turbate (Cossiga), cinici baciapile (Andreotti). Craxi e Berlinguer scivolano via velocemente. Moro muore anche per “la laida ignavia” della classe dirigente democristiana attaccata al potere, all’eterna “spietatezza della politica”, razza di persone disturbate e mediocri. Più che uno schema, è un cliché che semplifica e suggerisce un’idea non corretta ed equilibrata dei terribili fatti storici dell’epoca. “Un racconto più emotivo che politico”, mettono le mani avanti. Ma anche attraverso l’emotività si trasmette un giudizio politico più facilmente che attraverso una faticosa ricostruzione storica: un giudizio che sembra collocarsi nella linea del “processo”, prima al povero innocente commissario Calabresi, e poi alla Democrazia cristiana, auspicato anche da Pasolini, messo delittuosamente in scena dalle Br, compiutosi di fatto, storicamente, nella stagione di Mani Pulite.

Non sono mai state nelle mie corde opere che mescolano realtà e romanzo, suggerendo tesi e giudizi impliciti, su avvenimenti complessi non ancora chiariti adeguatamente dalla ricerca storica. Devo dire però che nonostante tutto non sono pentito di aver visto questo film, peraltro fatto da un maestro indiscusso; anzi: mi è venuto addirittura da desiderare, uscendo, che ci fosse, che so? un cineforum, perché insieme, fra persone in grado di esercitare sulla materia un pensiero critico, si potesse discuterne e confrontarsi.

Ma per chi tale pensiero critico non è in grado di esercitarlo, non foss’altro per la giovane età, per non aver vissuto quegli eventi e quegli anni?

Sabato sera, dopo il film, ero a cena con amici. C’era anche la figlia ventiduenne della coppia ospite: studentessa universitaria, attenta ai problemi sociali, eletta rappresentante degli studenti negli organi di governo dell’ateneo, palesemente informata sulle questioni di attualità e dotata di intelligenza vivace. A un certo punto chiedo e ottengo un tie-break nella conversazione per porle d’amblée questa domanda. “Se ti dico la parola Cossiga, che cosa ti viene in mente?”.  Silenzio, con la faccia che dice boh. “Neanche scritto con la K e le S alla nazista?”. Silenzio con la faccia che dice booooh.

Un tornante così drammatico e importante della nostra storia, come il sequestro Moro, non può non essere portato a conoscenza dei giovani, fatto loro studiare come si deve. Sconsiglierei loro di cominciare dalla visione di questo – ebbene sì – capolavoro.

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