C’è un fantasma che si aggira per il dibattito politico, quello della legge elettorale. Un fantasma che si aggira fra coalizioni farlocche, che sono più nella carta che nella realtà. Uno scenario macabro, sullo sfondo cupo di una legislatura travagliata come poche, con tre governi che delle coalizioni del 2018 si sono fatti beffe.
Il dibattito sulla possibilità di cambiare il Rosatellum in senso proporzionale riflette le inquietudini dei partiti in vista delle prossime elezioni. Chi vuole il proporzionale? Chi fa fatica a ritrovarsi nella necessità di coalizzarsi imposta dal terzo di seggi che si assegnano in collegi uninominali, e preferisce tenersi le mani libere per il dopo. Correre marcando la propria identità, per allearsi poi in parlamento, dopo aver massimizzato il risultato. Si tratta soprattutto dell’area giallorossa, dove la saldatura fra Pd e Leu da una parte e M5s dall’altra si sta rivelando sempre più difficile. Colpa dei mal di pancia dei grillini, che Conte sembra fomentare per ritrovare un’identità sempre più sbiadita. Il caso del termovalorizzatore di Roma, che i 5 Stelle vedono come il fumo negli occhi, è solo il più clamoroso di una lunga serie di distinguo.
Le bizze grilline provocano fastidio e preoccupazione in casa dem. Letta non può che esserne preoccupato, la difficoltà di candidature comuni alle prossime amministrative di giugno lo ha messo sotto pressione anche da parte di larghi spezzoni del suo partito. Uno per tutti, l’ex renziano Marcucci, secondo cui l’alleanza con M5s non è obbligatoria. L’anima moderata dei democratici guarda più a Calenda che a Conte. E il leader di Azione, quotata intorno al 5%, fa sapere senza tanti giri di parole: o lui, o i 5 Stelle.
La sbandierata volontà di Letta di tornare al proporzionale ha sbattuto sin qui sul muro del centrodestra. Salvini, Meloni e Berlusconi hanno firmato un patto per tener duro sul Rosatellum, con vibrate critiche nei confronti di Coraggio Italia e Udc, disponibili invece a discutere di proporzionale e preferenze.
Alla ricerca di una breccia, Letta sta corteggiando la leader di Fratelli d’Italia, argomentando che avrebbe molto da guadagnare in termine di consensi da una corsa libera dal condizionamento dei litigiosi alleati, in primis Salvini. Sin qui però Biancaneve-Meloni ha saputo resistere alla tentazione della mela avvelenata offerta dalla strega-Letta. Perché ci sono pochi dubbi che di mela avvelenata si tratti: per uno o due punti percentuali in più, Fratelli d’Italia rischierebbe di finire relegata all’opposizione, magari con il 25% dei consensi. Perché il proporzionale favorisce innegabilmente la convergenza fra le forze centrali dello schieramento politico, tagliando le ali. E gli schemi più probabili diventerebbero la maggioranza Ursula, o Draghi bis. Unica differenza, con o senza la Lega.
Tutto facile per il centrodestra? Tutt’altro. Perché se Atene piange, Sparta non ride. E a destra sono divisi quanto a sinistra, se non di più. Zuffa continua, a livello nazionale e nei territori. Meloni contro Salvini, soprattutto, con Berlusconi affannato a fare da cerniera. In palio la leadership dello schieramento, forse Palazzo Chigi. Ma l’odore del potere rappresenta un collante formidabile, che spinge a stare assieme, per vincere nei collegi uninominali. In caso di conseguimento della maggioranza, possibile secondo i sondaggi, il difficile verrà dopo, quando si tratterà di fare il governo di centrodestra.
Per la stragrande maggioranza degli osservatori il tempo per una riforma elettorale sembra agli sgoccioli. Per dì più dalla contesa sembra avere intenzione di tenersi lontano il governo, ben conscio di quanto sia scivolosa. Salvini è stato categorico: guai a chi spingerà su leggi in grado di impantanare il lavoro del parlamento, sarebbe l’opposto di quella speditezza sollecitata da Palazzo Chigi. E le leggi divisive sono soprattutto due, quella elettorale e il Ddl Zan. Meglio rinviarle alla prossima legislatura.
Il risultato più probabile è che si voterà con l’attuale sistema, con coalizioni obbligate e senza reale collante. Il rischio che si ripeta quanto visto nel 2018 è alto: che in parlamento ogni partito vada per la sua strada, con l’effetto di aprire una nuova fase di instabilità, deludendo ancora una volta le attese degli italiani di essere arbitri del governo del loro paese.
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