“Quante divisioni ha il Papa?”, avrebbe chiesto Stalin a Jalta, al termine della seconda guerra mondiale, a chi lo invitava a tener conto dei suggerimenti di Pio XII sul nuovo ordine europeo.
Oggi, a guerra in corso, nessuno pone la stessa domanda ma, in fondo, molti nutrono un analogo scetticismo sull’effettivo ruolo della Chiesa (Cosa volete che dica il Papa: fate la guerra? No, il Papa sta semplicemente facendo il proprio “mestiere” appellandosi alle coscienze). Ma quello del Papa è astratto e puro proselitismo o realistico e persuasivo giudizio sulla drammatica realtà che stiamo vivendo?
Cercherò, innanzitutto, di riassumere il giudizio del Papa, per come l’ho compreso, e poi di sottoporlo alla prova della realtà, per come riesco a vederla.
Nelle prime pagine di Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace (Solferino e Lev, 2022), e in altri scritti, Papa Francesco esprime una chiara e inequivocabile condanna dell’aggressione compiuta dalla Russia ai danni dell’Ucraina. Con quell’atto, la Russia ha creato un enorme e drammatico problema umanitario, civile, economico, politico e di giustizia internazionale.
Ma la soluzione non è la guerra, che è pura pazzia: “La guerra non è la soluzione, la guerra è una pazzia, la guerra è un mostro, la guerra è un cancro che si autoalimenta fagocitando tutto! Di più, la guerra è un sacrilegio, che fa scempio di ciò che è più prezioso sulla nostra terra, la vita umana, l’innocenza dei più piccoli, la bellezza del creato. Sì, la guerra è un sacrilegio!”.
La guerra, per il Papa, nasce nel cuore dell’uomo, con l’indifferenza verso l’altro, la non curanza, il considerare l’altro un estraneo, se non un nemico. E si propaga, come un virus, dal cuore dell’uomo alle relazioni internazionali, contaminate dalla stessa cultura del potere inteso come dominio sull’altro: “Si continua a governare il mondo come uno ‘scacchiere’, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri”.
La soluzione è costruire con coraggio la pace: “La vera risposta dunque non sono altre armi, altre sanzioni. Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento, credo, del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. Pazzia! La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione”. Occorre ripartire dal cuore dell’uomo per rifondare le relazioni tra i popoli, in Europa e nel mondo. Il Papa si appella alla responsabilità personale e a quella dei rappresentanti delle istituzioni affinché la crisi diventi, come altre volte in passato, un’occasione per ripensare le relazioni inter-personali e inter-nazionali.
Scrive: “Il Vangelo ci chiede soltanto di non guardare da un’altra parte, che è proprio l’atteggiamento più pagano dei cristiani: il cristiano, quando si abitua a guardare da un’altra parte, lentamente diventa un pagano travestito da cristiano. Per questo ho voluto incominciare con questo, con questa riflessione. Non è lontana, la guerra: è alle porte di casa. Cosa faccio io? Qui a Roma, al ‘Bambin Gesù’, ci sono bambini feriti dai bombardamenti. A casa, li portano a casa. Prego? Faccio digiuno? Faccio penitenza? O vivo spensieratamente, come viviamo normalmente le guerre lontane? Una guerra sempre – sempre! – è la sconfitta dell’umanità, sempre. Noi, colti, che lavoriamo nell’educazione, siamo sconfitti da questa guerra, perché da un’altra parte siamo responsabili. Non esistono le guerre giuste: non esistono!”.
E ancora: “Davanti ai tanti mutamenti a cui stiamo assistendo a livello internazionale, è doveroso ‘rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale’. La guerra, che ‘lascia il mondo peggiore’ ed è ‘un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa alle forze del male’, possa suscitare in questo senso una reazione di segno opposto, un impegno a rifondare un’architettura di pace a livello globale, dove la casa europea, nata per garantire la pace dopo le guerre mondiali, abbia un ruolo primario”.
Vediamo allora se questo giudizio regge alla prova della realtà o se è soltanto un apprezzabile auspicio.
La guerra è una pazzia. Sì, è così. Se la guerra dovesse continuare, e molti prevedono che sarà così, provocherebbe, senza neppure bisogno di ipotizzare il lancio di ordigni nucleari, effetti devastanti sull’intero pianeta: vittime di guerra, morti per fame, inquinamento ambientale e, in Ucraina, devastazione di case, scuole, ospedali, strade, ponti, ferrovie, aeroporti e, nel cuore dell’Europa, un odio consolidato tra popoli fratelli.
Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta solo di resistere ancora un po’, perché la débâcle di Putin e della Russia è vicina. Anche qui, una pazzia o, se preferite, un’illusione. L’illusione è che sia possibile colpire Putin e gli oligarchi salvando il popolo russo. La Russia è il paese più grande al mondo per estensione territoriale ed è abitato da 146 milioni di persone. Com’è possibile immaginare che questa crisi non colpisca e non umili innanzitutto il popolo? C’è un probante precedente storico a cui rifarsi. Nel 1919, alla Conferenza di pace di Parigi, i quattro Paesi vincitori della guerra umiliarono la Germania, l’intera Germania, e non soltanto i suoi governanti, escludendola dai negoziati di pace e imponendole di pagare un’ingente somma di denaro per riparare i danni di guerra. La Germania fu punita e quell’umiliazione favorì l’ascesa al potere di Hitler.
La soluzione è il coraggio di costruire la pace. Il Papa dice: la risposta non sono altre armi e sanzioni, ma un nuovo ordine europeo. Negli ultimi anni l’Europa si è divisa intorno a due prospettive che sembravano inconciliabili: allargamento o approfondimento. Includere nuovi Paesi col rischio, se non la certezza, di avere una governance più debole o, al contrario, rafforzare, approfondire, la governance tra un gruppo necessariamente ristretto di paesi. Il 9 maggio scorso, chiudendo la conferenza su “Il futuro dell’Europa”, Macron ha proposto di fare entrambe le cose: allargare e approfondire l’Europa. Allargarla costituendo una confederazione tra l’Unione Europea e altri Paesi vicini candidati a diventarne membri. Il presidente francese ha avuto il coraggio di dire la verità: serviranno anni, se non decenni, prima che l’Ucraina possa entrare a far parte dell’Unione Europea. Eppure, non è possibile lasciarla fuori, nella tempesta. Ecco allora l’idea di allargare la casa comune europea creando uno spazio in cui possano abitare paesi come Georgia e Moldavia e la stessa Ucraina. Al tempo stesso, occorre approfondire l’Unione Europea creando forme differenziate di integrazione economica e politica in linea con quello che è il motto identitario dell’Europa: “Unita nella diversità”.
Certo, restano i nodi più duri da sciogliere: armi e sanzioni e Crimea e Donbass. Il Papa dice: la risposta non sono altre armi e sanzioni. E l’opinione pubblica, non solo quella cattolica, si divide. Personalmente penso che il primo passo non possa essere quello di togliere, subito e in modo unilaterale, armi e sanzioni lasciando il popolo ucraino solo a combattere contro l’armata russa. Il primo passo dovrebbe farlo l’Europa, unita o rappresentata dai suoi Paesi più grandi. L’Europa dovrebbe presentare a Russia e Ucraina e a Cina e Stati Uniti una proposta di riassetto della sua casa comune, che preveda la ripresa del partenariato con la Russia, auspicato dallo stesso Putin meno di un anno fa, e nuove relazioni economiche e politiche con l’Ucraina, nel quadro dell’ipotizzata Confederazione europea. In fondo, lo stesso piano presentato dall’Italia all’Onu va in quella direzione e non dovrebbe essere difficile condividerlo con altri Paesi europei.
La soluzione, come dice il Papa, non sono altre armi e sanzioni ma un nuovo ordine europeo che, mi permetto di aggiungere sommessamente, non può essere proposto che dall’Europa stessa e fatto oggetto di un negoziato che comprenda anche una soluzione relativa all’invio di armi e al mantenimento delle sanzioni e una soluzione per Crimea e Donbass conforme ad un rinnovato principio di autodeterminazione.
Quello del Papa non è un semplice auspicio. È invece un realistico e persuasivo giudizio a cui tutti dovremmo prestare maggiore attenzione.
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