Maxiprocesso, così fu chiamato dai giornalisti il processo penale che venne celebrato a Palermo per crimini di mafia di Cosa Nostra. La scelta del nome è legata alle enormi proporzioni del procedimento: in primo grado, infatti, gli imputati erano 475, scesi a 460 durante il processo. Ma è anche il traguardo più importante del lavoro svolto da Giovanni Falcone e dal suo pool antimafia. Grazie alle loro indagini, ma anche alle rivelazioni dei pentiti Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, riuscirono a ricostruire l’organigramma mafioso, a svelare i traffici illeciti e a individuare i responsabili di 120 omicidi. Per la prima volta in un tribunale comparve il gotha di Cosa Nostra.
Servirono 349 udienze prima che la corte arrivasse a ritirarsi in camera di consiglio, totalmente isolati dal mondo, uscendone 35 giorni dopo con un verdetto: 346 condanne e 114 assoluzioni. I giudici inflissero 19 ergastoli e 2.265 anni di carcere. La sentenza, peraltro, confermò, la tesi di Giovanni Falcone: Cosa Nostra è un’organizzazione unitaria e verticistica. Servirono un’ora e mezza per completare la lettura delle 54 pagine del dispositivi con i nomi e le pene inflitte, con multe per 11,5 miliardi di lire.
MAXIPROCESSO: DALL’APPELLO ALLA CASSAZIONE
Il maxiprocesso subì un ridimensionamento in appello: gli ergastoli scesero da 19 a 12, mentre le pene detentive vennero ridotte di oltre un terzo, scendendo a 1.576 anni di carcere, con 86 nuovi assolti. La Cassazione fu, dunque, l’ultima chance per la mafia. I magistrati temevano, infatti, che il maxirpocesso sarebbe finito alla prima sezione della Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale, che era autore di molti annullamenti eclatanti. Non a caso veniva chiamato l’ammazzasentenze. Per evitare polemiche fu imposto il criterio della rotazione nell’assegnazione del processo, quindi a presiedere la corte fu il giudice Arnaldo Valente.
Così il 30 gennaio 1992 i giudici romani confermarono le condanne, annullando gran parte delle assoluzioni decise in appello. Di conseguenza, quasi tutte le pesanti condanne pronunciate in primo grado vennero confermate e diventarono definitive. Così finì il mito dell’impunibilità della mafia. Al termine del maxiprocesso, Cosa Nostra passò al contrattacco: tra il 1992 e il 1993 ci furono una serie di attentati. Tra e vittime più note Falcone e Borsellino, i giudici istruttori del maxiprocesso, così come l’eurodeputato Salvo Lima, perché non era riuscito a far modificare la sentenza del maxiprocesso in Cassazione.