Caro direttore,
anzitutto un grazie per la copertura della tragica vicenda ucraina, lontana dai toni da show di molti altri media. Credo che il lettore e, soprattutto, lo spettatore comune comincino ad essere un po’ frastornati e che, dietro le analisi e i vivaci dibattiti, a volte con toni da stadio, inizino a porsi domande concrete.
Gli italiani hanno accolto con molta cordialità l’arrivo dei profughi dall’Ucraina, anche perché gli immigrati ucraini si sono finora ben inseriti nel nostro Paese. Tuttavia, l’immigrazione continua a rimanere un problema per l’Italia e l’aggravarsi della situazione alimentare in Africa e altrove, a seguito della guerra, fa prevedere una nuova ondata di notevoli proporzioni nell’incombente stagione estiva. Una scelta tra ucraini e altre etnie credo metterebbe il governo, ma anche molti cittadini, in una spiacevole situazione. Questa diversità di trattamento è già stata ufficialmente condannata da Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms, che ha accusato gli occidentali di non dare “la stessa attenzione alle vite dei neri e dei bianchi”.
Un altro problema che preoccupa la “gente normale” è la crisi nei rifornimenti di idrocarburi, particolarmente di gas, conseguente alle sanzioni contro Mosca e non credo che sia tranquillizzata dall’alternativa posta da Mario Draghi tra “pace e condizionatori accesi”. Anche perché molti italiani il condizionatore non ce l’hanno e, piuttosto, guardano impensieriti alla possibilità di passare l’inverno a caloriferi spenti. Draghi probabilmente suggerirà di indossare il cappotto anche in casa, ma non giurerei sull’approvazione festosa della maggioranza degli italiani.
Vi è poi la questione dell’aumento delle spese per armamenti, che non potrà non comprimere altre spese proprio in un momento di sempre più grave crisi economica. Tanto più che buona parte di questi armamenti non verranno prodotti da nostre imprese, ma da aziende estere, soprattutto americane. E si può pensare che una parte non minuscola di italiani ritenga improbabile che Putin decida di invadere l’Italia; lo scoppio di una guerra tra Nato e Russia, cioè la terza guerra mondiale non più a pezzetti, renderebbe comunque vani tutti questi discorsi.
A questo punto, credo si possa avanzare l’ipotesi che la domanda principale che si pone il cittadino comune sia: “Perché non si pone fine a questa sciagurata e inutile guerra?”. È la richiesta più volte fatta da Papa Francesco, ma le sue esortazioni questa volta sono state sostanzialmente sottaciute, anzi, si è cercato di arruolarlo in uno dei due fronti contrapposti.
Come in ogni conflitto, la pace deve essere trattata tra i contendenti, ma la cosa non è facilitata se tra gli spettatori coloro che potrebbero far da pacieri stimolano invece il combattimento. Come fa Joe Biden proclamando la prosecuzione della guerra “fino alla vittoria”, o quantomeno a un definitivo indebolimento della Russia, o il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, che parla di una lunga guerra. Più pragmaticamente, il presidente ucraino Zelensky ha già compilato una lista degli investimenti e risarcimenti richiesti e, recentemente, ha chiesto un nuovo “Piano Marshall” per la ricostruzione del suo Paese. Anche in questo caso, la cessazione della guerra potrebbe far dirottare i sussidi per armamenti a scopi più costruttivi.
Tuttavia, a giudicare dalle loro dichiarazioni, i due contendenti sono fermi sulle loro incompatibili posizioni e solo un autorevole intervento esterno potrebbe portare a una trattativa e a una soluzione di compromesso, con l’inevitabile mediazione degli opposti interessi. Questa autorevolezza dovrebbe essere degli Stati Uniti, tanto più che loro stessi si propongono come insostituibile guida del mondo, ruolo riaffermato da Biden nel suo programma. E potrebbero essere affiancati da una Unione Europea che abbia ritrovata una sua propria posizione. Tuttavia, per il momento appare un’ipotesi ragionevole ma lontana.
Ciò che fa veramente rabbrividire è che questi accordi, se raggiunti, non saranno molto dissimili dalla situazione del 2015 e dagli accordi detti Minsk 2, che se attuati avrebbero probabilmente evitato sette anni di disastrosa guerra.
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