Si può governare l’economia dell’Unione Europea come se la guerra in Ucraina non ci fosse? Bruxelles ufficializza la sospensione delle regole di bilancio per un altro anno, ma impone agli Stati di non fare altro deficit e attraverso le Raccomandazioni-Paese chiede agli Stati stretta sorveglianza sui conti pubblici. Nulla di nuovo per il governo Draghi, che come già messo in evidenza su queste pagine, in presenza degli effetti devastanti di più crisi sovrapposte – pandemia, esplosione dei prezzi dell’energia e delle materie prime, guerra in Ucraina – ha consegnato l’Italia ad un percorso forzato di riduzione dell’indebitamento imposto dall’Eurogruppo.
Non sorprende, di conseguenza, che il Consiglio europeo esorti l’Italia a ridurre la spesa corrente e nel contempo ad accelerare con le riforme previste dal Pnrr. Ma “se si accede ad un finanziamento a condizioni predefinite dal creditore c’è poco da lamentarsi. Non lo si è voluto capire allora e lo si capisce adesso, in un momento critico” dice Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale nell’Università Cattolica di Milano.
Piuttosto, il vero problema è l’incertezza assoluta nella quale chi governa l’Ue sta manovrando il timone, usando – spiega Mangia – “il vecchio impianto di Maastricht e stavolta senza margine di manovra per la Bce. Dall’Ue è sparita ogni sapienza politica, si applicano solo regole”.
Partiamo dalle Raccomandazioni europee. Sono davvero così cogenti?
Normalmente no. Sono un passaggio dovuto sulla base delle regole che impongono alla Commissione il monitoraggio e il coordinamento delle politiche economiche e di bilancio degli Stati Euro dal 2011 (Six Pact). Ma poi si decide in autunno, dopo la Nadef e dopo che la bozza di legge di bilancio è stata mandata a Bruxelles. E sappiamo che in questi anni di recessione pandemica le maglie sono state larghe per tutti.
Allora perché quest’anno è diverso?
Perché il Pnrr è stato attivato, e al monitoraggio ordinario sulle politiche economiche si sovrappone quello sul raggiungimento delle milestones imposte dalla logica del Recovery. E qui il Governo è oggettivamente in ritardo su molti dossier.
Concessioni balneari, riforma del catasto, riforma del codice degli appalti, riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm, per dirne alcune. Che cosa non torna?
Purtroppo non si è voluto capire che il Pnrr non era l’albero della cuccagna che distribuiva soldi gratis. Erano soldi a prestito in cambio di riforme da realizzare puntualmente, secondo un piano molto dettagliato.
Ecco, ci spieghi bene questo punto.
La novità del Recovery/Pnrr sta nel fatto che ad una logica sanziontoria, tipica del processo di bilancio (procedura di infrazione), si è sostituita una logica premiale: prestiti in cambio di riforme. E si moltiplicavano i controlli. Ma i controlli sul Recovery sono molto più stringenti di quelli previsti dal semestre europeo. Per cui, mi creda, non sono affatto stupito che le “Raccomandazioni” si riverberino sull’attuazione del Pnrr. Erano nodi che dovevano venire al pettine, e infatti ci stanno arrivando.
Il Next generation Eu non è ancorato al principio solidaristico contenuto nell’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea? Perché queste riforme ci sono imposte?
La solidarietà del 122/1 Tfue non è la solidarizzazione per cui qualcuno paga al posto dell’Italia. Questo ce lo siamo immaginati noi. La logica dei trattati europei non è questa, nonostante le chiacchiere di due anni fa sul “momento Hamilton” dell’Unione. I trattati sono molto chiari: il Recovery è un’eccezione eccezionale – se mi passa il termine – e i divieti di mutualizzazione e finanziamento degli artt. 123, 124 e 125 Tfue sono ancora lì. Del resto se si accede ad un finanziamento a condizioni predefinite dal creditore c’è poco da lamentarsi. Non lo si è voluto capire allora e lo si capisce adesso, in un momento critico.
Come si risolverà lo scontro tra sovranità fiscale ancora nelle mani degli Stati e condizionalità del Next Generation Eu?
Non parlerei di sovranità fiscale. Parlerei di un margine di manovra dei singoli Stati in relazione alla situazione economica da una parte, e al quadro macroeconomico generale e alle sue tendenze di sviluppo coordinato dalla Commissione dall’altra. E considerando il quadro macro del momento, mi pare ci sia molto poco da stare allegri.
Appunto: come cambia il quadro ciò che è accaduto dopo il 24 febbraio?
La guerra in Ucraina ha sconvolto tutto ovunque, ma le condizionalità del Recovery erano quelle di oggi anche prima del 24 febbraio. Il 24 febbraio, semmai, ha aggiunto problemi ulteriori ai problemi italiani e europei che erano preesistenti. In Germania l’inflazione è già più alta che in Italia, in altri Paesi euro, come baltici e Polonia, è già tra il 14 e il 17%. Ma le spinte inflattive, con l’esplosione dei prezzi dell’energia e delle materie prime, erano iniziate assai prima dell’invasione. Questo rende tutto più difficoltoso per il Governo italiano.
Mi scusi se torno al Tfue. L’articolo 122 contiene anche una dottrina dell’emergenza. È fatta per aiutare gli Stati o serve ad altro?
Il 122 è una valvola di sfogo. Consente deroghe alla rigidità dei trattati, sospendendone temporaneamente l’applicabilità. Ampiezza ed estensione di queste deroghe dipendono dalla situazione di fatto. E cioè pandemia prima e guerra ora. Ma mi sembra che, nonostante la situazione in corso, l’aspirazione sia quella di un ritorno alla normalità.
Quindi?
Quindi il 122 è finalizzato alla tenuta in deroga dei principi dei trattati, non ad aiutare i singoli Stati. Per quello c’è il Recovery/Pnrr. E qui torniamo al punto di partenza. La sospensione del Patto di stabilità per il 2023 è già una grossa fortuna. Ma la si è introdotta non perché conviene all’Italia, ma perché conviene a tutti.
Le Raccomandazioni all’Italia dicono en passant una cosa serissima: “L’invasione russa dell’Ucraina, sulla scia della pandemia globale, ha alterato in modo significativo il contesto geopolitico ed economico”. Come valuta la risposta politica della Commissione davanti a quello che sta accadendo?
Ecco, semmai questo è il punto di crisi. Il Recovery/Pnrr era stato pensato per la gestione della crisi economica indotta dalla pandemia. E opera oggi in un contesto totalmente diverso, in cui crisi si aggiunge a crisi. E badi che si tratta di una crisi dalla durata e dagli esiti imprevedibili, almeno da un punto di vista economico. Forse anche peggio della pandemia, della quale, nonostante i toni apocalittici da finis mundi, era prevedibile una conclusione. La risposta dell’Unione è stata condotta sul versante della Politica Estera e di Sicurezza Comune, con i regolamenti che aggiornano le sanzioni del 2014 alla Russia. Ma questa risposta, nonostante le inquietanti conseguenze economiche che porterà con sé, è andata per conto suo rispetto al controllo sulle politiche di bilancio, che seguono sempre le stesse regole.
Infatti nel testo troviamo puntuali sempre le stesse regole: “riduzione della tassazione sul lavoro”, “allargamento della base imponibile”, “rientro dall’indebitamento”…
La domanda da farsi è come sia possibile ridurre il debito in una fase di stagnazione/inflazione – se non di imminente recessione –, di rincaro di energia e materie prime, di rallentamento degli scambi, diminuendo la tassazione sul lavoro e andando a tassare qualcos’altro. Ma queste sono le ricette che ci arrivano. E in questo momento nessuno in Europa è in grado di elaborare ricette diverse.
Lei sta dicendo che in sostanza si tira a campare con le ricette, direi fallimentari, che si hanno a disposizione. Le chiedo: di quali ricette parliamo?
È il vecchio impianto di Maastricht come aggiornato dopo la crisi dei debiti sovrani. E stavolta senza margine di manovra per la Bce che oggi ha la scelta tra aumentare i tassi in recessione o tenerli fermi in inflazione. E tenga conto che negli ultimi dieci anni è stata la politica monetaria della Bce a sorreggere tutto il continente. Oggi la Bce è in una classica lose-lose situation.
E questo come si spiega? Insipienza politica o deficit funzionale dell’Unione?
L’Unione opera secondo regole. Non si può chiedere sapienza politica a funzionari che applicano ricette di più di dieci anni fa in un contesto dove le condizioni macro a 12/24 mesi sono sconosciute a tutti. E se riflette che in questa fase le condizioni macro dipendono, assai più che in passato, dalla situazione geopolitica, capisce che siamo tutti in terra incognita. Se non si ha presente questo, è difficile fare qualunque ragionamento realistico. Non ci sono solo l’Ucraina e l’Europa. Ci sono anche il Pacifico e la Cina. L’Europa è in mezzo a tutto questo e ne dipende senza una strategia aggiornata né da un punto di vista politico, né da un punto di vista economico.
È possibile ipotizzare le ripercussioni del conflitto sulla struttura istituzionale dell’Unione, cioè dell’Europa fondata su questi trattati?
Ne dubito fortemente.
Eppure si è parlato – lo ha fatto Draghi davanti all’europarlamento – di “modifica dei trattati”: con l’unanimità non si va da nessuna parte. Lo ha detto anche Macron. È questa la riforma vera che ci serve?
Guardi, per superare l’unanimità ci vorrebbe l’unanimità. Lei se li vede certi Paesi, ad esempio del blocco orientale, che votano per rinunciare al proprio potere di interdizione, aprendo così a patti di sindacato interni all’Unione che ne controllino le politiche interne? Io francamente no.
Si insiste con l’allargamento, dai Balcani all’Ucraina.
Si dovrebbe fare l’esatto opposto: un’Unione più piccola, omogenea e coesa potrebbe andare al di là dell’unanimità. Non questa che abbiamo. E men che meno una Ue allargata.
(Federico Ferraù)
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