LA SOLITUDINE MODERNA: NIENTE AMICI, SOLO FOLLOWERS
Un tempo dopo la locuzione “Chi trova un amico” era scontato e naturale completarlo con “trova un tesoro”: oggi, nel 2022 dei social e dei “diritti per tutti”, nell’epoca della felicità da mostrare a tutti i costi, ci si potrebbe aggiungere un semplice ma drammatico punto di domanda dopo la frasetta, “Chi trova un amico?”.
I dati in arrivo da ogni parte del mondo e ben esposti oggi su “La Stampa” dalla scrittrice e giornalista Daniela Hamaui, sono impressionanti: negli Stati Uniti un millennial su cinque dice di non avere neanche un amico, così pure in Europa. Il sondaggio online effettuato da Gallup nel 2021 rileva poi come dopo la pandemia ben il 13% delle americane e l’8% degli americani – tra i 30 e i 49 anni – hanno perso i contatti con tutti gli amici/amiche che conoscevano. Se sui social si fa sempre più a gara per avere più followers, nella vita reale la cifra della solitudine resta ancora ampiamente “sottovalutata” dai media. Giustamente Hamaui scrive nel suo editoriale come «Zero amici, zero relazioni, zero complicità, zero anima gemella. Nessuno con cui condividere un segreto, nessuno da amare e da cui essere riamati, nessuno a cui confessare la propria solitudine e il desiderio di avere appunto, almeno un amico».
LA FOLLIA DISTOPICA DAL GIAPPONE AGLI USA: GLI AMICI “SI NOLEGGIANO”
E così dal Giappone agli Stati Uniti, dall’Europa all’Asia, il problema della solitudine rappresenta una delle sfide sociali e umane più importanti del presente e del futuro: se già dagli anni Novanta è nata la forma di patologia definita “Sindome Hikikomori”, che porta adolescenti a non riuscire più a staccarsi da schermi e videogames rimanendo chiusi nella propria cameretta, l’evoluzione della solitudine arriva vette impensabili fino a qualche decennio fa.
In Giappone da anni è diventata moda il “solo wedding” (con alcuni casi anche in Italia), ovvero organizzazioni di matrimoni dove giovani donne festeggiano tutto ma senza lo sposo: «mi sposo con me stessa così mi sento felice e realizzata», si dicono le donzelle con un dramma a cui forse ancora non sono riuscite a guardare fino in fondo. Le quarantene e le ansie da emergenza Covid hanno sicuramente aiutato a rendere meno “quotidiane” feste, incontri, occasioni per coltivare amicizie, ma il seme del problema era presente già da prima: nel libro “Il secolo della solitudine”, l’economista e direttrice del Centre for International Business and Management dell’Università di Cambridge, Norena Hertzi, inquadra benissimo il “nodo” evidenziato da Hamaui. «Ho noleggiato per un pomeriggio “un’amica” per 40 $ da una società chiamata Rent a Friend»: racconta poi di essersi sottoposta a colloqui di lavoro dove la valutazione era gestita direttamente da un algoritmo e poi altri esempi di vita “distopica” ma già presenti nella società americana. «È un segno dei tempi il fatto di poter ordinare un amico con la stessa facilità con cui ordino un cheeseburger, solo con qualche click sul mio cellulare», denuncia ancora la Hertz, «in questi anni è emersa un’economia della solitudine, creata per sostenere – e in qualche caso sfruttare – chi si sente solo». Il problema della solitudine c’è, è presente e non sembra vedere all’orizzonte una soluzione “a buon mercato”, il che forse è l’unico elemento positivo: servono relazioni, serve fidarsi dell’altro come in grado di “accettare” le proprie insicurezze e fatiche. Serve potersi sentire amati per poter amare: serve, in fin dei conti, vivere. E non con algoritmo, ma “banalmente” anche con un solo amico.