In questa epoca di cinefumetti e franchise estremamente longevi, vedere seguiti e rifacimenti di film di successo è diventata più la norma che un’eccezione. Tuttavia, esistono ancora casi in cui un sequel rischia di risultare fuori tempo massimo, vuoi per l’età degli attori – Indiana Jones 5 ci presenterà un Harrison Ford ottantenne -, vuoi perché i creativi dell’originale si stanno dedicando ad altri progetti – Pacific Rim 2, che senza la mano di Del Toro risulta un giocattolone piuttosto bruttino. Non mancano però casi di sequel improbabili che si sono dimostrati capaci di reggersi sulle proprie gambe, come Tron: Legacy, opera prima di Joseph Kosinski. Dodici anni dopo, il regista statunitense torna a riesumare un cult storico con Top Gun: Maverick, coadiuvato e supportato dall’instancabile Tom Cruise. Ma siamo sicuri che questa operazione sia arrivata in tempo per raccogliere l’entusiasmo dei fan?
Maverick (Tom Cruise), pluridecorato pilota di caccia, è richiamato alla TOPGUN dal suo amico e collega Iceman (Val Kilmer) per preparare i migliori rappresentanti della nuova leva a una missione di vitale importanza. Tra i suoi studenti, tuttavia, figura anche Rooster (Miles Teller), figlio del compagno di volo di Maverick caduto durante l’addestramento. L’asso diventato istruttore dovrà quindi confrontarsi con vecchi fantasmi, e con una missione da cui i suoi allievi potrebbero non fare ritorno.
L’eroe che torna nel ruolo di mentore è diventato uno stilema di questo tipo di operazioni, ma non pensate che il nostro Maverick risulti in secondo piano rispetto ai suoi nuovi allievi. Tom Cruise recupera la spavalderia e la spericolatezza del suo personaggio storico, ma vi aggiunge una sana dose di dubbi, ripensamenti e un pizzico di autoironia. Siamo sicuri che il pilota il cui nominativo significa più o meno “scavezzacollo” sia la persona più adatta a fare da insegnante? Maverick si fa questa e molte altre domande, supportato unicamente dalla sua vecchia fiamma Penny (Jennifer Connelly) e dal suo storico amico Iceman. A questo proposito l’interpretazione di Val Kilmer, disposto a riprendere il ruolo in una scena che non ha paura di mostrare la sua malattia, è in grado di strappare una lacrima a fan storici e non.
Sappiamo che è grazie a Tom Cruise che vengono portati avanti tali mastodontici progetti: tra questo nuovo Top Gun e la sequela di Mission Impossible, è innegabile che l’ambizione e l’energia portati dall’attore siano la spinta propulsiva per tentare di superarsi ogni volta nell’ambito dell’action. I suoi interventi sul fronte della produzione, dello script e della messa in scena fanno intuire un certo grado di delirio di onnipotenza non troppo dissimile da quello dello stesso Maverick, ma sul fronte professionale Tom Cruise rimane uno dei più grandi lavoratori del settore, ed è capace di conferire un’anima a ogni progetto a cui partecipa – la sua, ma comunque un’anima.
Per quanto concerne la sopracitata azione, Top Gun: Maverick si distingue non solo nelle scene di volo, ma anche in sequenze meno esagerate, come l’introduzione o la partita di football a metà film, che riprende quella dell’originale. Musica e montaggio concorrono a rendere questi frangenti tanto interessanti quanto quelle ad alta quota. Il dogfighting, combattimento tra aerei originatosi durante la Prima guerra mondiale, viene reso con lunghe inquadrature al cardiopalma, acrobazie che si alternano ai primi piani dei piloti, schiacciati dalla gravità e dalle loro stesse manovre. La missione finale, pur peccando per lunghezza e per essere una copia sputata di quella di Una Nuova Speranza, riesce a tenere alta la tensione e regala manovre dalla grande resa visiva.
Nonostante i suoi pregi visivi, la pellicola viene penalizzata dalla sua estrema linearità: gli allievi di Maverick sono una raccolta di stereotipi, tra lo spaccone, il timido, e la ragazza che sta lì per evitare l’effetto landa del cetriolo; il rapporto del protagonista con la sua vecchia fiamma non è particolarmente approfondito, ed è lì solo per dargli qualcuno a cui tornare a fine missione; non ci sono colpi di scena, o scelte coraggiose. Questa linearità viene fatta ulteriormente pesare dalla drammatizzazione dell’addestramento dei piloti: il conflitto è parte integrante di ogni film che si rispetti, ma vedere i migliori piloti della nazione litigare come dei bambocci o non comprendere concetti basilari come il gioco di squadra può risultare irritante. Lo stesso vale per le bravate del protagonista, che nella scena iniziale prima salva il lavoro dei suoi colleghi portando un aereo a mach 10, e subito dopo lo mette a rischio superando il limite per far vedere quanto ce l’ha grosso, con conseguente incidente e perdita di un velivolo militare. Naturalmente Maverick non si fa un graffio, perché rompere le regole è figo e va bene finché vinci, e naturalmente in un film nel genere l’eroe vince sempre, perché “lui può” e sono gli altri a non capire quanto è intraprendente.
Nonostante quanto scritto sopra non mi sento di condannare questo eccezionalismo americano smodato, che se ne infischia di ogni norma di sicurezza e rispetto per gli altri. Perché? Beh, perché lo ritroviamo anche nel Top Gun originale, che pur essendo un cult non brilla esattamente come un capolavoro della storia del cinema. Top Gun: Maverick si dimostra fedele all’originale, che è più di quanto si possa dire di molte altre operazioni del genere. È un “more of the same” fatto bene, ma il suo apprezzamento dipende strettamente da quanto abbiate apprezzato l’opera prima e solo da quella.
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