Padova, primavera caldissima. Come in tante altre città, insieme alla mezza stagione è scomparso il senso del pudore. Lo ha sicuramente pensato la preside di una scuola superiore davanti alla passerella dei ragazzi per i corridoi dell’istituto, (s)vestiti come sfilassero sulla battigia di Lignano Sabbiadoro. La dirigente scolastica ha fatto quel che è nel suo ruolo: ha invitato i ragazzi a vestirsi in maniera consona al contesto istituzionale.
Doveroso o bigotto? Ho chiesto un parere alle mie figlie, ragazze in età da liceo che escono prestissimo la mattina e a quanto ne so, potrebbero cambiarsi abiti in ascensore, arrivando a scuola in minigonna ascellare e/o ombelico in esposizione come i trofei all’ingresso del liceo.
“Mamma fa caldo!” ha commentato la più piccola “cì-sta. Dov’è la piastra per i capelli?”. I ragazzi dicono ci-sta con l’accento sulla ì. Pur di non adeguarsi alla convenzione, spostano la punteggiatura, le spalline, spostano il discorso e gli orli delle gonne. L’unica cosa che vorrebbero allungare le mie figlie sono i capelli. Il resto dell’outfit è optional, nel dubbio meglio se shrink tipo le confezioni dei cibi che tendono a rimpicciolirsi per via della crisi.
Anche l’altra figlia si è schierata dalla parte degli studenti. “Mamma, siamo lì a imparare, non è un ambiente di lavoro; vogliamo essere liberi”. Ho fatto notare che per qualcuno lo è un ambiente di lavoro, qualcuno in queste scuole ci va (anche) per portare a casa 800 euro al mese con cui comprare al figlio/a un paio di jeans con tre strappi e cinque tagli, jeans che – nonostante il risparmio di tessuto – costano uguale a dei classici denim old-style.
Comunque. I ragazzi non ne vogliono sapere di vincoli estetici e l’effetto che in genere si ottiene è l’opposto. Ciascun genitore ahimè conosce questa triste regola. Temo che l’invito della preside – con cui condivido la posizione – non sortirà nessun effetto, anzi. Per persuadere degli adolescenti a vestirsi in maniera consona (la maggior parte dei teen ignora il significato della parola “consona”; sarà anche per questo che non c’è allineamento tra richiesta ed esito?); per convincerli, dicevo, bisogna spronarli ad andare nella direzione opposta. “Ragazzi non vestitevi con abiti balneari” gli fa solo voglia di presentarsi alla lavagna col prendisole in spugna. “Ragazzi, non copritevi il corpo come degli sciatori!” sortirebbe qualche effetto in più. Ma una preside gioca un ruolo istituzionale con confini che non sempre consentono di sfruttare la psicologia al meglio. Trovare un compromesso estetico rientra in un equilibrio difficile, tipo agghindarsi ai matrimoni quando fa troppo caldo o troppo freddo.
Intanto noi genitori e adulti spostiamo lo sguardo sulla sostanza: speriamo niente debiti a settembre, altrimenti il mare e la spiaggia ce li sogniamo e basta.
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