Come si era tristemente appreso lunedì, il Governo – di concerto con Arcelor-Mittal – ha deciso di rinviare di due anni l’ingresso definitivo dello Stato al 60% nel capitale di Acciaierie D’Italia. Ieri, infatti, la notizia ha trovato conferma ufficiale: come comunicato dal Mise, il ministro Giancarlo Giorgetti ha autorizzato i commissari straordinari del gruppo Ilva a sottoscrivere l’accordo di modifica del contratto quadro con le società del gruppo Acciaierie d’Italia (ADI).
Lo schema di accordo, sul quale il Comitato di sorveglianza ha espresso parere favorevole, prevede una proroga al 31 maggio 2024 dei termini, precedentemente fissati al 31 maggio 2022, per il verificarsi delle condizioni a cui è vincolato l’obbligo di acquisto dei complessi aziendali da parte di ADI. In relazione ai profili occupazionali, agli investimenti per l’ammodernamento degli impianti e agli interventi di riqualificazione ambientale vengono confermati, con rimodulazione delle tempistiche, gli impegni già previsti nel piano industriale.
Nello stesso tempo, Lucia Morselli conferma gli obiettivi per il 2022 a 5,7 milioni di tonnellate di acciaio prodotto: secondo l’ad di ADI, “ci sono finanziamenti già deliberati (…) e l’aver firmato oggi questo accordo, semplificherà molto (…) sono tutti finanziamenti con copertura Sace e di questo vorrei ringraziare i ministri dello Sviluppo economico e del Tesoro che sono stati grandissimi partner in questa operazione”.
A leggere le parole di Lucia Morselli vien da pensare “avanti tutta”. Ma la realtà è ben diversa. Anzitutto, nello stabilimento tarantino – che al momento è piuttosto lontano dai 5,7 milioni di tonnellate di acciaio previste a fine anno (quasi a metà anno siamo più o meno attorno ai 2) – 3/4 della forza lavoro è in cassa integrazione, non si fanno manutenzioni, continuano a verificarsi incidenti (l’ultimo è di lunedì, reparto di finitura nastri) e, soprattutto, il progetto di trasformazione del sito è ormai abbandonato.
Nel corso dell’attuale legislatura, tutti e tre i Governi che si sono alternati non sono riusciti a rilanciare il polo tarantino. Certo, dopo il contenzioso con Mittal per via della revoca dello scudo penale, la situazione non poteva che franare. Ma quando Invitalia ha acquisito quote dal colosso franco-indiano dando vita ad ADI, l’aspettativa era quella di un nuovo ciclo per l’acciaio italiano. E invece, con questa proroga, è evidente la volontà di smarcare la politica da questa situazione complicata e complessa e di rinviare qualsiasi decisione di 48 mesi, lontana in particolare dall’appuntamento delle elezioni politiche. Nella speranza che la situazione non degeneri.
Eppure, per come stanno cambiando i mercati, rilanciare la nostra siderurgia sarebbe un’operazione conveniente. Servono però un armistizio definitivo con la magistratura e un progetto industriale chiaro. A quanto pare, a oggi, mancano entrambe le cose.
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