Quando il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco lancia l’allerta sull’inflazione da energia e sui rischi di nuove spirali prezzi-salari invoca chiaramente l’attivazione di molte “concertazioni”. Una vedrà protagonista Visco stesso, uno dei 19 Governatori dell’eurozona. Sarà nel consiglio generale della Bce – oggi presieduta da Christine Lagarde – che dovrà sciogliere i nodi del rientro da una politica monetaria espansiva per contrastare la fiammata inflattiva senza soffocare la difficile recovery post-Covid in Europa.
Due tentativi di concertazione di primo livello sono invece già da settimane prerogativa dell’ex Presidente della Bce, Mario Draghi, ora alla guida del Governo italiano, rimanendo voce molto ascoltata fra Bruxelles e le altre grandi capitali del Vecchio Continente. Non è facile dire se sia più incerta e impegnativa la concertazione con le parti sociali in Italia o quella in Consiglio Ue. Sono certamente dossier collegati: quello sulla gestione Ue delle sanzioni Ue verso la Russia in modo che non vadano a punire in misura eccessiva la sicurezza e il costo delle forniture di gas e petrolio; e quello in cui palazzo Chigi sta faticosamente equilibrando sacrifici e sostegni fra famiglie e imprese in Italia.
Il primo è quello meno sotto controllo diretto da parte di Draghi, ma anche quello in cui i suoi “desiderata” mostrano più progressi. Il Consiglio Ue che ha approvato un embargo non integrale sul petrolio russo ha mostrato flessibilità fra i 27 Paesi-membri, nonostante le forti tensioni accentuate dallo scenario bellico. E – soprattutto – è proseguito in misura costruttiva il confronto sull’opportunità di porre un tetto temporaneo al prezzo di vendita del gas nell’Ue. Il “no” dell’Olanda – hub del gas in Europa – non è più rigido come lo è stato per settimane quello dell’Ungheria al blocco totale degli acquisti di petrolio da Mosca. E un “whatever it takes” per calmierare il principale prezzo “inflattivo” europeo avrebbe un impatto forte anche sul tavolo della concertazione italiana. Che invece per ora rimane chiuso.
Sono le imprese – principalmente quelle aderenti a Confindustria – a chiedere segnali d’attenzione che a loro avviso sono finora del tutto assenti. Sono gli industriali a denunciare di essere vittima di una narrazione politico-economica che li vede tendenziali beneficiari del rialzo dei prezzi, mentre il 20% delle imprese italiane sarebbe addirittura a rischio-chiusura, non potendo assorbire prezzi energetici in alcuni casi quintuplicati rispetto al pre-pandemia. Gli aiuti d’emergenza del Governo continuerebbero a essere sbilanciati sulle bollette delle famiglie, con poca attenzione sulle trincee presidiate dalla manifattura e dagli altri comparti produttivi. La stessa riforma fiscale – voluta dall’Europa già in chiave di ripristino dei parametri di stabilità – non ha certo un approccio “business friendly”.
Misure espansive come il superbonus 110% – varato dal Governo Conte – sono sotto accusa nel merito da parte dell’esecutivo Draghi, ma anche – nel metodo – da parte di Confindustria. Che ha messo nel mirino una politica complessiva di “bonus e sussidi” che sembra aver intessuto ormai per intero una legislatura politicamente turbolenta. L’oggetto più che simbolico del contendere resta il “Reddito di cittadinanza”, difficile da modificare nell’ultima legge di bilancio prima del voto politico. Ma Draghi ha appena mostrato di quale indipendenza sia capace nel chiudere – dopo anni – il cerchio ostico delle gare per le concessioni. E non dimentica certo che la concertazione più nota e più di successo fu avviata nel 1993 da un Premier istituzionale come Carlo Azeglio Ciampi dopo una paurosa crisi della lira.
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