Il ricercatore iraniano-svedese Ahmadreza Djalali, è stato condannato a morte in Iran per spionaggio. La moglie Vida Mehrannia ha chiesto aiuto all’Italia, dopo che lo stesso ha insegnato per due all’Università del Piemonte Orientale. «Ahmadreza è un ostaggio vero e proprio» racconta la donna, come riferisce il Corriere della Sera, che altresì sottolinea come la data per l’esecuzione era stata fissata al 21 maggio, poi passata. Ma secondo gli attivisti come la stessa compagna, la condanna a morte potrebbe essere concretizzata nel giro di pochi giorni, di conseguenza stanno cercando di farsi sentire a livello internazionale, per provare a salvare l’esperto di medicina dei disastri.
Secondo Mahmood Amiry-Moghaddam, che ha seguito il caso per «Iran Human Rights», ong con sede a Oslo, una mano in tal senso potrebbe darla la Svezia, dove è stato processato lo stesso Ahmadreza Djalali: «La Svezia non può interferire con l’esito del processo – racconta al Corriere della Sera – ma dopo il verdetto potrebbero scambiare i prigionieri. È evidente che Djalali viene trattato come un ostaggio e l’errore dei Paesi europei è non usare questo termine, come fecero gli americani con il personale della loro ambasciata a Teheran nel 1979-80».
AHMADREZA DJALALI, RICERCATORE IRANIANO CONDANNATO A MORTE: “LA MAGISTRATURA CI VIETA CONTATTI DIRETTI”
La moglie di Ahmadreza Djalali aggiunge, giustamente preoccupata: «La scorsa settimana abbiamo parlato con lui indirettamente, attraverso i sui parenti in Iran. La magistratura ci ha vietato i contatti diretti. A parte il fatto che continua a preoccuparsi per me e i nostri bambini, sembra molto calmo. È innocente, è stato arrestato per aver rifiutato di cooperare con l’intelligence iraniana nell’Unione europea e adesso è senza alcun dubbio un ostaggio che il regime sta usando per ottenere la liberazione dei propri agenti in Belgio e in Svezia. Ma Ahmadreza sa anche che spesso i sequestratori uccidono i loro ostaggi se le autorità (nel suo caso, Belgio e Svezia) non accettano le loro richieste. Quindi si aspetta che sarà facile per un regime brutale uccidere un prigioniero innocente. Le sue condizioni di salute, fisica e psicologica, sono gravi. È sotto torture durissime, incredibili, da molto tempo».
Djalali è accusato di aver passato informazioni sensibili a Israele per assassinare scienziati iraniani legati al programma nucleare. «Una confessione forzata — racconta la moglie —, un video pieno di tagli, un copia-incolla narrato in terza persona. Era stato torturato, gli agenti dell’intelligence avevano minacciato di fare del male alla sua famiglia e ai suoi figli e gli avevano fatto credere che sarebbe stato rilasciato subito dopo l’intervista. Peraltro non si sentono nemmeno le sue risposte, si sente solo la voce del narratore». Quindi la donna ha concluso, rivolgendosi alla nostra nazione: «Ciò che io e i miei figli abbiamo chiesto all’Ue e in particolare alla Svezia, al Belgio e anche all’Italia e al Vaticano è questo: per favore impedite che un innocente venga ucciso, prima che sia troppo tardi aiutateci a liberare Ahmadreza. Avrebbe potuto cooperare con gli agenti iraniani (alcuni anni fa) e ora sarebbe con noi in Svezia, ma ha seguito principi etici e umanitari, ignorando offerte che avrebbero potuto mettere a rischio e uccidere cittadini europei. L’Italia ha rapporti molto buoni con l’Iran e le vostre autorità potrebbero risolvere questo caso».