«Nel 1947, in prima media, arrivò un giovane professore di lettere, fece l’appello e si presentò, si chiamava Pier Paolo Pasolini. Nei due anni che passammo con lui fummo i più ricchi e fortunati allievi del nostro Friuli. Piano piano egli ci condusse per mano nell’immensa steppa di Anton Cechov, piena di solitudine e tristezza. Ci fece fare la conoscenza con il mondo magico della Sicilia di Verga.
Con lui attraversammo l’Oceano Atlantico per fermarci commossi e pensosi nel piccolo cimitero di Spoon River, scendemmo nel profondo sud per riscaldarci ai canti degli Spirituals negri. Ci fece amare Ungaretti, Saba, Montale, Sandro Penna, Cardarelli, Quasimodo e molti altri poeti che, allora, non erano né premi Nobel, né comparivano nelle antologie per le scuole». È il ricordo commosso di due studenti che ebbero l’avventura di avere come professore l’allora giovane Pasolini, nella scuola media statale di Valvasone, distaccamento di un istituto di Pordenone.
Un altro testimone di quegli anni, il grande poeta Andrea Zanzotto, ricorda come Pasolini coltivasse il giardinetto nel cortile della scuola, insegnasse i nomi latini delle piante, disegnasse cartelloni, inventasse favole, come quella celebre del mostro Userum, un espediente perché i ragazzini potessero imparare i casi dei sostantivi della seconda declinazione, us, er, um.
Erano anni felici, in cui, come lui ha scritto, «tutto mi sembrava perfetto», perfino i bombardamenti da cui era dovuto scappare con sua mamma Susanna nel 1943. Si era rifugiato a pochi chilometri da Casarsa, a Versuta. Qui aveva scoperto che i bambini non riuscivano ad andare a scuola a causa della guerra, e quindi con la mamma aveva organizzato quella che lui aveva ribattezzato come «scuoletta», in uno di quei casolari – casèl – utilizzati dai contadini come ricovero per gli attrezzi. «Era molto piccolo e ci si stava appena; ma spesso uscivamo sul prato e ci sedevamo sotto i due enormi pini sfiorati dal vento».
È un’esperienza che Pasolini ha raccontato nel “Diario di un insegnante”, dove aveva incluso anche un decalogo di suggerimenti: raccomandava di far vivere lo studio come «un’avventura», di far ricorso alla «poesia contemporanea perché essa è più vicina per linguaggio e per sentimento a coloro che la devono apprendere». E ricordava a chi sta in cattedra non «deve essere oggetto d’amore ma saper provocare amore per l’oggetto di studio».
Lungo tutta la sua vita appassionata e turbolenta Pasolini non ha più avuto opportunità di salire in cattedra. Ma questa sua vocazione è rimasta come un fattore carsico che ha segnato sempre la sua opera: lo dimostra l’ostinata attenzione ai giovani e al loro destino, espressa in tanti interventi pubblici e nelle poesie. Si tratta di un’attitudine davvero unica all’interno del mondo intellettuale italiano, che trova un riscontro solo nel percorso così analogo di Giovanni Testori.
Non è un caso che il Pasolini insegnante riemerga proprio alla fine della sua vita nella forma imprevista di un “corso” pensato per Gennariello, un ragazzo immaginario, ma dai connotati molto reali. È un corso di vita, pensato sotto forma di “trattatello pedagogico”, per aprire gli occhi di Gennariello e di tutti quelli come lui davanti alle trappole che il mondo ha preparato per loro: le trappole della moda, del conformismo e dell’omologazione. Sono pagine tutte da leggere, dettate da un amore più forte anche del pessimismo che pervadeva quell’ultima stagione di Pasolini, raccontate anche nella video-mostra su PPP prodotta dal Meeting (e visibile fino al 12 giugno a Pesaro nel contesto suggestivo dell’ex chiesa del Suffragio). Sono pagine di straordinario realismo, scritte da un intellettuale che non aveva regole da dispensare, ma che si metteva ogni volta in gioco, facendo della propria intelligenza uno strumento aperto per affrontare il mondo.
«Sappi», scrive Pasolini al “suo” Gennariello, «che negli insegnamenti che ti impartirò, non c’è il minimo dubbio, io ti sospingerò a tutte le sconsacrazioni possibili, alla mancanza di ogni rispetto per ogni sentimento istituito. Tuttavia il fondo del mio insegnamento consisterà nel convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in brutti e stupidi automi adoratori di feticci». Trovarne di maestri così…
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