Per questo fine settimana, voglio regalarvi una notizia interessante su cui riflettere. Lo faccio però a una condizione: dovete tenervela per voi. Anzi, potete condividerla con i vostri cari. ma, mi raccomando, non deve assolutamente giungere all’orecchio di Federico Rampini: potrebbe compromettere il suo umore in maniera irreparabile. E, in coscienza, non mi sento di prendere sulle mie fragili spalle questa enorme responsabilità. Intervistato da SkyNews, emittente britannica che soltanto uno squilibrato potrebbe minimamente accostare a simpatie filo-russe, il direttore della NSA (National Security Agency) statunitense e dello US Cyber Command, generale Paul Nakasone, ha reso noto testualmente come le unità di spionaggio e controspionaggio ai suoi comandi abbiano condotto e stiano conducendo in Ucraina una serie di operazioni che abbracciano un intero spettro di intervento: offensive, difensive e a livello informativo. Quest’ultimo ambito include anche operazioni di hackeraggio offensive. Tradotto, nel mondo in cui se non si accende lo scaldabagno i Rampini di turno scomodano i pirati informatici al soldo del Cremlino, uno dei tre uomini più operativamente più potenti d’America – insieme ai direttori di CIA e FBI – ha appena candidamente ammesso il coinvolgimento diretto di unità d’élite statunitensi in operazioni cosiddette psy ops. Anzi, in questo caso cyber ops. Ma tranquilli, quella in Ucraina non è una guerra per procura. Gli Usa non mandano i mitologici stivali sul terreno e stanno inviando solo innocui missili a medio raggio con precisione di impatto che non supera il margine di errore di un metro sul bersaglio posizionato fino a 80 chilometri. Bazzecole. Robetta. Soprattutto alla luce della promessa di Kiev – giurin giuretta – di non utilizzarli per attacchi sul suolo russo, ma solo per spezzare il fuoco dell’artiglieria del Cremlino entro i confini ucraini e cercare di rallentarne l’offensiva.
D’altronde, il famoso esercito in rotta, ammutinato peggio del Bounty e con generali incapaci al comando, a detta dello stesso Presidente Zelensky oggi controlla il 20% dell’Ucraina. Figuratevi dove sarebbe se avesse dei comandanti minimamente capaci. E signori, le operazioni psy-ops non sono routine: sono il cuore stesso dell’avanguardia in tema di warfare, sono la base delle guerre asimmetriche e a bassa intensità. Operazioni di guerra psicologica, intesa sotto tutti i punti di vista: dalla mera propaganda, la quale contempla l’utilizzo massivo dei social network compiacenti – capito perché Mosca, fra le prime manovre ritorsive adottate, ha deciso di spegnere in patria i vari Facebook, Twitter e soci? – fino all’uso di infiltrati, provocazioni, operazioni false flag e appunto al sabotaggio industriale e bellico e all’hackeraggio dei sistemi operativi.
Tranquilli, se mai questa notizia dovesse per sbaglio entrare nel dibattito dei talk-show, vi diranno che le psy ops sono unicamente esistenti nella mente contorta dei complottisti. Nessun problema, lo erano anche le false flag: di cui oggi, invece, parlano tutti con estrema disinvoltura, quasi si trattasse di scampagnate primaverili. E attenzione, perché il buon generale Paul Nakasone non ha concesso l’intervista a SkyNews a Londra, bensì dall’avamposto baltico dell’Estonia. Da dove, quindi, ora sappiamo che la NSA e il suo comando operativo per le missioni di pirateria informatica coordinano e fanno partire i loro attacchi in difesa dell’Ucraina. L’Estonia, di fatto, è il quartier generale della controffensiva Nato contro la Russia. Tradotto per i non aderenti alla realtà? Tallin è, potenzialmente e in base a quanto più volte dichiarato da Putin e Lavrov, un obiettivo legittimo e legittimato. Già oggi.
E la guerra per procura che Federico Rampini ultimamente nega in ogni consesso televisivo in cui è invitato – quindi tutti, a parte Protestantesimo, Cortesie per gli ospiti e le televendite della Eminflex – è talmente nota, aperta e palese in casa statunitense da aver visto lo stesso generalone Usa scendere anche in alcuni particolari, fra cui la conferma di attacchi cyber contro i satelliti e soprattutto l’utilizzo massivo di cosiddetti wiper attacks o attacchi tergicristallo. Ovvero, attività di hackeraggio, quasi sempre contro siti istituzionali e strategici, il cui unico scopo è rimuovere, cancellare e distruggere dati sensibili, al fine di mettere ko i sistemi del nemico. Ma tranquilli, di fronte a noi non è in atto alcuna guerra per procura. E, soprattutto, quest’ultima non ha affatto un Paese membro dell’Ue come suo quartier generale.
Signori, ironia a parte per un attimo: vi rendete conto in quale situazione siamo già oggi come europei? Vi rendete conto quale sia il rischio reale di escalation, in caso uno dei missili a media gittata che gli Usa stanno per consegnare con urgenza a Kiev non mantenesse le promesse e precipitasse in territorio russo, fosse anche soltanto in un campo di patate abbandonato o nella steppa più desolata? L’Ue sta ospitando missioni operative in ambito Nato della NSA statunitense e della sua unità d’élite di guerra cibernetica: significa che l’Ue, contestualmente l’Estonia, sono bersagli legittimi di rappresaglia, Già oggi. Ma tranquilli, il geniale editorialista in bretelle del Corriere della Sera ci dice che gli Usa – di cui è cittadino, per chi non lo sapesse – non stanno affatto combattendo una loro personale guerra nella guerra, nessuna proxy war, nessun interesse nascosto, nessuna cospirazione o agenda parallela. Nulla.
Fossi in voi, starei decisamente attento a cosa vi raccontano. Perché nella sua onestà intellettuale, poiché i militari Usa hanno molti difetti ma non quello dell’ipocrisia quando si tratta di rivendicare i propri obiettivi, il generale Paul Nakasone ci ha delineato – in tempo verbale presente e senza condizionali – un’attività bellica ai massimi livelli di tecnologia e warfare già in atto. E lo ha fatto parlando dall’Estonia, Unione europea. Non dalla Virginia o dal Maryland. Dalla porta baltica dell’Europa, un tiro di schioppo da quella Finlandia che, casualmente, insieme alla Svezia e a tempo di record ha deciso di rinunciare a qualche decennio di scelta neutralistica e aderire in fretta e furia alla Nato.
Forse la mia scelta lessicale relativa a quell’ultima figura retorica – il tiro di schioppo – non è stata proprio felice, lo ammetto. Magari inquieta chi è convinto che non ci sia alcuna proxy war in atto. Ma fidatevi: è terribilmente realistica.
Buon fine settimana. E mi raccomando la promessa: se incontrate Federico Rampini, acqua in bocca.
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