Francesca Scopelliti, compagna di Enzo Tortora, parla a Zona Bianca del caso di malagiustizia di cui è stato vittima il popolare conduttore e giornalista. Il 17 giugno 1983 venne arrestato con l’accusa di traffico di sostanze stupefacenti e associazione di stampo camorristico. Due anni di successo, oltre 7 mesi in carcere, 6 agli arresti domiciliari: questo fu il suo calvario, vittima di un errore giudiziario, ma anche di una gogna mediatica. Nel 1987 tornò in tv, ma non era più lo stesso. La malattia, il tumore, se lo portò via per sempre.
«Fu un crimine giudiziario. Fu perseguito da due magistrati che sapevano di avere davanti un innocente. Quando ci fu il primo interrogatorio, non c’era uno straccio di prova. Per salvare la loro faccia decisero di fottere Tortora, cercando prove che non esistevano, perché l’innocente non lascia prove», ha detto nella puntata di ieri, senza giri di parole. «Trovarono 18 pentiti, l’unico elemento alla base della condanna a 10 anni, perché il giudice disse che le dichiarazioni erano concordanti, ma erano concordate, visto che quei 18 farabutti vivevano insieme in carcere, pretendendo cibi di qualità e vini pregiati, oltre che compagnia femminile», ha aggiunto Francesca Scopelliti in collegamento con Giuseppe Brindisi.
“ENZO TORTORA NON È MORTO DI TUMORE MA DI MALAGIUSTIZIA”
Francesca Scopelliti ha raccontato che quei giudici hanno fatto «una splendida carriera». La compagna di Enzo Tortora ha svelato un retroscena su Felice Di Persia, raccontando che l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga le disse che la prima volta che presiedette il Csm vide il magistrato e gli disse: «Io a lei la mano non gliela stringo perché ha provocato la morte di una persona perbene». In merito alla morte di Enzo Tortora, la vedova ha spiegato: «Si dice che Enzo sia morto di un tumore, in effetti fu quella bomba al cobalto che gli è scoppiata dentro il 17 giugno 1983. Non è morto di tumore, ma di malagiustizia. In un Paese civile, in uno Stato di diritto non è accettabile». Recentemente ha detto di avere paura della deriva giudiziaria: «Ho visto amarezza, dolore e sofferenza, ho visto le fauci dei magistrati attaccate alla preda. L’ho sempre interpretato come un caso eccezionale, poi c’erano degli anticorpi che riequilibravano le cose».
Inoltre, c’era una politica attenta: «Ora in politica possiamo fare solo il nome di Matteo Renzi, che porta avanti la battaglia garantista, come giornalisti abbiamo Sansonetti, poi trionfa il ‘travaglismo’, ma io non voglio morire di travaglismo». Quindi, ha approfondito i suoi timori: «La mia paura è che la magistratura abbia preso un potere inquietante, arriva a dire che la ministra Cartabia minaccia la tenuta democratica del Paese. La magistratura ha svuotato di contenuti la riforma necessaria per l’Italia, impedisce al Parlamento di fare le riforme. Allora che sia il popolo a decidere».