La scheda numero 4 (colore grigio) che verrà consegnata agli elettori il 12 giugno riguarda (ricopio il titolo) la “Partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei consigli giudiziari…”.
Sembra una questione di secondo piano, ma non lo è.
I consigli giudiziari sono degli organismi nominati su base distrettuale (ogni distretto di Corte di Appello ricomprende, per lo più, i tribunali di una Regione) composti per tre quarti da magistrati (nominati a seguito di elezioni tra tutti i giudici del distretto) e un quarto da avvocati e professori universitari (i cosiddetti laici).
Quali sono le funzioni dei consigli giudiziari? La prima è quella di vegliare sul corretto funzionamento della giurisdizione e sul buon funzionamento dell’apparato giudiziario in ossequio al fondamentale principio del giudice naturale precostituito per legge. Il consiglio in particolare verifica la corretta distribuzione dei processi ai giudici (distribuzione che deve avvenire con criteri automatici e predeterminati: il giudice non può scegliersi la causa e le parti non possono scegliersi il giudice), l’assegnazione dei magistrati alle diverse sezioni, le sostituzioni dei giudici che vengono trasferiti o sono indisposti. Quando si discute e si decide di questi problemi alle riunioni partecipano tutti i componenti del consiglio: magistrati, avvocati e professori.
Il consiglio giudiziario si occupa poi dei pareri sull’attribuzione degli incarichi direttivi (nomina a presidente del Tribunale, presidente della Corte di Appello, procuratore della Repubblica) e delle valutazioni di professionalità dei magistrati: ciascun magistrato ogni quattro anni è oggetto di una valutazione sull’attività svolta: se il giudizio è positivo avanza in carriera, se è negativo corre il rischio anche di essere destituito. In Italia, su tutto il territorio nazionale, le valutazioni dei magistrati si concludono con il 99,5% di valutazioni positive!
Alle riunioni in cui si decidono i pareri (poi trasmessi al Consiglio superiore della magistratura per la decisione finale) sulle valutazioni di professionalità e sull’idoneità a ricoprire incarichi direttivi votano solo i magistrati: i cosiddetti laici devono abbandonare la seduta (denominata ristretta) o, come accade presso le sedi giudiziarie più tolleranti (come Milano), possono partecipare, ma non possono parlare e tantomeno votare.
Da parte della magistratura questa esclusione è giustificata dal fatto che deve essere salvaguardata l’indipendenza della magistratura che deve essere arbitro esclusiva delle carriere dei giudici.
Secondo i promotori dei referendum e secondo l’avvocatura l’esclusione dei laici (peraltro con un peso non certo decisivo essendo il rapporto laici/magistrati di 1 a 4) da queste importante decisioni è ingiustificata, in quanto viene impedito ad una componente importante dell’organizzazione giudiziaria (gli avvocati, appunto, che rappresentano i propri assistiti, gli utenti del servizio giustizia) di contribuire a dare una corretta ed equa valutazione di chi esercita la giurisdizione. La valutazione così resta un’autovalutazione, spesso troppo generosa (si è detto: 99,5 di valutazioni positive).
Votando sì al quesito si abroga quindi la normativa che impedisce ad avvocati e professori di partecipare a queste decisioni favorendo valutazioni più obiettive e progressioni in carriera dei più meritevoli.
Occorre precisare, infine che qualche buona ragione nel consentire agli avvocati di partecipare a queste sedute deve pur esserci se la riforma Cartabia, già approvata alla Camera e in discussione al Senato a partire dal 14 giugno, tra le proprie innovazioni prevede proprio di modificare la normativa nel senso richiesto dai promotori del referendum estendendo quindi, seppur con qualche limitazione, la partecipazione alle sedute della “ristretta” anche agli avvocati.
Il referendum numero 5 (scheda verde) riguarda l’“Abrogazione di norme in materia di elezione dei componenti togati del Csm-Consiglio Superiore della Magistratura”.
Oggi i giudici, per candidarsi al Csm, l’importante organismo che decide le nomine dei capi degli uffici ed esercita il potere disciplinare sui magistrati, devono essere supportati dalla firma di magistrati presentatori (non meno di 25 e non più di 50).
Di norma i magistrati presentatori sono appartenenti ad una corrente, ad un’associazione di colleghi che hanno un determinato orientamento ideale, a volte coincidente con un orientamento politico (ci sono correnti “di sinistra”, “moderate”, ecc.). Secondo Luca Palamara le correnti hanno determinato quel “sistema” per cui le correnti si sceglievano i propri candidati al Csm per poi “spartirsi” le nomine dei capi degli Uffici giudiziari. Il referendum vuole abrogare la parte della normativa che obbliga i candidati ad essere presentati da liste di presentatori consentendo così a qualunque giudice, anche svincolato dalle correnti, di essere eletto al Csm.
Anche le modalità di elezione al Csm sono oggetto della riforma Cartabia in discussione al Senato, ma per opinione comune, esclusa la possibilità di individuare i candidati o gli eletti tramite sorteggio (come da alcuni proposto), è di fatto oggi impossibile escogitare una modalità di voto che disinneschi del tutto il sistema di influenza sul voto delle correnti. Ma se vince il sì partirà comunque un segnale politico importante che anche la magistratura associata non potrà ignorare.
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