CHE COS’È LA SCALA MOBILE DEI SALARI E PERCHÈ SE NE PARLA ORA
Viene chiamata “Automatic indexation” ma non è altro che la “scala mobile” di italianissima memoria: nell’accordo siglato nella notte da Commissione, Consiglio e Parlamento Ue per la cosiddetta “direttiva sul salario minimo”, è infatti rispuntata la proposta sulla “scala mobile” abbandonata dall’Italia nel 1992.
Con scala mobile si intende in termini economici quel sistema di rivalutazione automatica delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti: venne introdotta in Italia nel 1945 dopo un accordo tra la Cgil e Confederazione generale dell’industria italiana (Confindustria) e prevedeva un meccanismo di indicizzazione automatica dei salari in funzione degli aumenti dei prezzi di determinate merci. Il tutto per contrastare la diminuzione del potere d’acquisto (dovuto al costo della vita e alle crisi), secondo però un preciso indice dei prezzi al consumo valutato appositamente. Nel 1951 il Governo italiano stabilì una riforma ad ampio raggio sul tema: «alle variazioni dell’indice dei prezzi, scattavano corrispondenti aumenti delle retribuzioni. Il punto di contingenza era uguale per l’intero Paese e per tutti i comparti dell’economia nazionale, ma con valori diversi a seconda della categoria, della qualifica, dell’età e del genere», riporta fedelmente la Treccani rispetto alla riforma sulla “scala mobile”.
SOPPRESSIONE SCALA MOBILE: CHI L’HA TOLTA E PERCHÈ
Il ritorno alla scala mobile invocato ora dall’Unione Europea per spingere Paesi come l’Italia ad adottare una legge sul salario minimo fa tornare di prepotenza l’argomento “eliminato” nel 1992 con la decisione storica del Governo Amato.
Dopo la crisi di inflazione e prezzi di fine anni Ottanta, la “scala mobile” venne definitivamente soppressa con la firma del protocollo triangolare tra Governo e parti sociali (sindacati e imprese) il 3 luglio 1992: è stata abolita in quel frangente l’indennità di contingenza ed è stato introdotto per tutti i lavoratori dipendenti (dirigenti esclusi) l’elemento distinto della retribuzione, ovvero una somma mensile di Euro 10,33 erogata per tredici mensilità retributive. Dal 1º gennaio 1992, con la cessazione della scala mobile, viene pagata solo l’indennità di contingenza maturata fino ad allora: in molti contratti collettivi, essa è stata “conglobata” nella paga base o minimo contrattuale. Dagli anni 2000 però l’indennità di contingenza è confluita in un’unica voce retributiva, insieme al salario base previsto dai contratti nazionali per ogni livello di inquadramento: l’indennità è aggiornata, come minimo, a cadenza annuale. Si tornò a parlare di scala mobile nel 2014 quando il Presidente Usa Barack Obama dopo l’aumento della paga base oraria dei dipendenti pubblici, dichiarò pubblicamente di voler introdurre un meccanismo di indicizzazione dei salari adeguato all’inflazione, assai simile al concetto di scala mobile.
COSA DICE LA UE SULLA SCALA MOBILE (E PERCHÈ LA RIVUOLE)
«La presidenza del Consiglio e i negoziatori del Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico provvisorio sul progetto di direttiva sui salari minimi adeguati nell’Ue. La nuova legge, una volta adottata definitivamente, promuoverà l’adeguatezza dei salari minimi legali e contribuirà così a raggiungere condizioni di lavoro e di vita dignitose per i dipendenti europei»», si legge nella nota notturna del Consiglio Europeo.
Nella direttiva sul salario minimo approvata dal Trilogo (organo informale che comprendere Commissione, Consiglio e Parlamento Ue) è stata dunque rispolverata la cara vecchia “scala mobile”, con criterio fissato che riguarda il potere d’acquisto: di fronte a una inflazione in forte crescita si legano le buste paga ai prezzi correnti. Si vuole in questo “pressare” quei 6 Paesi (su 27) che ancora non hanno legge vigente sul salario minimo in quanto affidano l’individuazione della paga di base per i lavoratori ai contratti collettivi delle diverse categorie. L’accordo in Italia non sarà però facile in quanto all’interno del Governo Draghi vivono, come noto, diverse anime molto opposte tra loro su tema fisco & lavoro. In particolare il Centrodestra non vede di buon occhio l’obiettivo di Bruxelles su salari minimi e “scale mobili”: come ha spiegato il Ministro della PA Renato Brunetta, «Chi vuole tornare alla scala mobile (adeguamento automatico dei salari all’inflazione) dice una stupidaggine, i lavoratori si tutelano con i contratti, con il welfare, con una buona Pa, con investimenti in capitale umano». Per Brunetta, uno dei fautori all’epoca del Governo Amato dell’abolizione della scala mobile, anche il salario minimo legale sarebbe un errore: «è contro la nostra storia di relazioni industriali e sindacali, poi dobbiamo pensare a tutelare meglio i più deboli». Per il Presidente di Fondazione ADAPT, Francesco Seghezzi, la scala mobile oggi sarebbe molto dannosa: «I salari crescono se cresce la produttività di pari passo con gli investimenti in innovazione. In Italia abbiamo una produttività bassa, specie nel settore dei servizi, dove c’è poca innovazione e si lavora molto sui servizi alla persona e non caratterizzati da alto valore aggiunto. Bisognerebbe attrarre investimenti e fare più servizi di consulenza alle imprese, connessi all’ambito digitale. Credo sia questa la strada nel lungo periodo», ha spiegato in una recente intervista a “Il Giornale”.