Dice Warren Buffett, il guru americano di Wall Street: “Quando la marea si ritira, si vedono quelli che stavano nuotando senza costume”.
La marea che si ritira è il Quantitative Easing, con la politica dei tassi rasoterra praticata dalla Bce. Quelli che nuotavano senza costume e di cui il mondo si accinge a rimirare di nuovo le bianchicce pudenda siamo noi.
È questo il senso profondo dello spread tra Btp e Bund riallargatosi a 233 punti. È questo anche il senso – un po’ plastico, un po’ ridicolo – dello sbilancio che si è creato (ma è solo un esempio) tra i 31 miliardi e mezzo stanziati per il superbonus del 110% e i 33 miliardi già richiesti dal mercato a fine maggio!
Cosa vuol dire? Semplicemente, che non funziona niente. Che hanno sbagliato tutti i conti. Il premier supereconomista; l’ex ragioniere generale dello Stato ed oggi ministro dell’economia che ha ragionato così così; la pubblica amministrazione (guarda un po’) che non è stata riformata né tantomeno si è autoriformata.
Vuol dire che il distintivo c’era e c’è: mai un premier italiano era stato così rispettato nel mondo come Draghi; c’erano pure le chiacchiere, quelle giuste, quindi poche, e non quelle diluviali della premiata ditta Conte-Casalino. C’erano chiacchiere e distintivo, insomma: altroché. Ma purtroppo i mali del nostro complicato Paese pure sono rimasti, tutti lì, belli intatti. Impermeabili al lavacro del governo dei migliori, del sostegno della larghissima coalizione.
C’è poco da sfottere. Un autosfottimento va bene, ma per poche righe: poi deve lasciare il posto alla serietà, che deve a sua volta deteriorare subito in apprensione.
Riepiloghiamo.
Siamo al 150% di debito pubblico sul Pil. La metà circa dei 220 miliardi del mitologico Pnrr – qui c’è poco da ridere, sono tantissimi soldi che spenderemo male ma spederemo, e quello è crescita – nasce però dal debito e andranno rimborsati. Per riassorbire il debito servirebbe una crescita costante del Pil di almeno il 3% per qualche anno, un bel po’ di anni, peccato che tutti i fattori strutturali della nostra competitività sono quelli di sempre, da gambero: caro-energia, cuneo fiscale da paura, economia sommersa totalmente fuori controllo, evasione impunita, riciclaggio a manetta. Cos’altro? What else? Come si può contare su una crescita stabile e sostenuta, con simili premesse? Come se il mondo aspettasse i nostri comodi con la pazienza di una maestra buona verso il Pierino-Italia, che “è tanto intelligente ma non s’impegna”.
Ora a Draghi non resta che appellarsi all’Europa, rispolverando senza varianti l’unico, eterno argomento: l’Italia è troppo grande per fallire, un’Europa unita senza di noi non ha senso, sarebbe come un rosa senza spine, un caffè senza cremina, un babà senza rum.
Possiamo appellarci all’Europa per ottenere – come chiede Draghi – il tetto al prezzo del gas e l’appoggio di Macron all’erogazione di nuovi fondi europei, il famoso Recovery-bis di cui formalmente Bruxelles non parla ancora intanto che le ragionerie non finiscono i conteggi. Ammesso che l’Italia ottenga queste due misure (alla fin fine farebbero comodo a molti dei 27) ce ne vorrà del tempo, e il tempo non gioca per noi. Intanto che passa il tempo, come faranno le famiglie e le imprese a fronteggiare inflazione e il caro energia?
Purtroppo la verità è che Draghi ci ha provato e ci sta provando, come può. Ma non è possibile neanche a lui salvare l’Italia lisciandola per il verso del pelo. La palingenesi non nasce dalle coccole del reddito di cittadinanza, o dal salario minimo. Nasce dalla discesa agli inferi e dalla risalita a forza di sacrifici. L’occasione paradossale della pandemia e del Pnrr potrebbe ancora essere colta, ma solo se la classe politica e chi la vota prendessero coscienza che non esistono pasti gratis. Purtroppo questa verità non collima con quel che i guru del consenso predicano sui social per portare a casa voti di sprovveduti.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.