In tre decenni, Ravenna è diventata la Salisburgo italiana: due festival (uno estivo – quest’anno è iniziato il primo giugno e si estende sino al 21 luglio) ed uno autunnale (31 ottobre – 4 novembre), grandi interpreti da tutto il mondo, interdisciplinare (all’opera lirica è dedicato il festival autunnale).
I festival ravennati sono a tema. Dopo tre anni dedicati alle cantiche della Divina Commedia, per il settecentesimo anniversario dantesco, il festival in corso questa estate ha come fil rouge il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini: è un fii rouge da intendersi in modo molto ampio perché, accanto a spettacoli (musica, prosa, cinema) legati al grande scrittore, c’è vasto spazio per la sinfonica (con maestri come Muti, Eschembach, Pilz, Fisher, Harding) nonché per una trasferta a Lourdes ed a Loreto nelle consuete “vie dell’amicizia”, per il barocco e per la danza.
Dovendo scegliere in un menù così ricco, il vostro chroniqueur ha deciso d passare tre giorni al festival per assistere al debutto di un dramma di Eugenio Sideri di chiara impronta pasolinana al Teatro Alghieri ed a due concerti di musica rispettivamente del Novecento e barocca nel magnifico scenario bizantino della Basilica di Sant’Apolinnare in Classe.
Andiamo in primo luogo a Caleri (termine di dialetto romagnolo che vuole dire Sentieri). Il 10 giugno (debutto ed unica rappresentazione al festival) il Teatro Alighieri era pieno anche perché la compagnia (Nove Teatro) e l’autore sono molto noti a livello locale. Il grande successo e gli scroscianti applausi erano in gran parte scontati. Il dramma si svolge nel 2004 ed ha due temi intrecciati (ambedue di matrice pasoliniana): lo scontro intergenerazionale e l’incapacità della sinistra di comprendere i problemi delle nuove generazioni. Lavoro fortemente politico che potrà migliorare nelle riprese (alcuni tagli farebbero bene al primo atto, ed alcuni interpreti dovrebbero recitare a più alta voce).
Di grandissimo livello i due concerti a Sant’Apollinare in Classe. Il primo (9 giugno) imperniato su una chicca di Britten (i Canticles) eseguiti da interpreti d’eccezione; il secondo (11 giugno), su una musica notissima (i concerti branderburghesi di Bach) eseguiti da un complesso creato circa trenta anni fa (Ensemble Zefiro) che sta mietendo successi in Italia ed all’estero; i suoi fondatori, insegnanti presso i Conservatori di Musica di Amsterdam, Salisburgo, Barcellona, Mantova, Verona, Milano, sono apprezzati solisti di famose orchestre e sono considerati tra i più validi esecutori nell’ambito della musica antica; si avvalgono inoltre della collaborazione dei migliori strumentisti in campo europeo.
I Canticles (Cantici) costituiscono una vera preziosità nella vasta produzione di Britten. Ne esistono numerose versioni discografiche ma in Italia vengono raramente eseguiti dal vivo per due ragioni: a) difficoltà nel trovare interpreti; b) la brevità dell’esecuzione integrale e la necessità, quindi, di coniugarli con altri lavori. Non sono state concepiti come un ciclo integrale di ispirazione religiosa ma come cinque miniature (tratte dai libri sacri) composte tra il 1947 ed il 1974 avendo come riferimento essenziale lo speciale timbro tenorile di Peter Pears. I testi non sono unicamente antichi ma anche di autori contemporanei come Edith Stilwell e T.S. Elliot.
Al Ravenna Festival il primo di questi nodi è stato sciolto chiamando Ian Bostridge (il tenore che ha oggi la voce più simile a quella di Pears) ed il suo affiatato team, affiancato con Julius Drake al piano, Antonella De Falco all’arpa e Federico Fantozzi al corno. Il secondo nodo è stato risolto facendo precedere l’esecuzione dei Canticles di Britten da quella di cinque brevi brani spirituali di Bach e di quattro Songs di Purcell – composizioni da cui Britten trasse ispirazione per le sue miniature. Inoltre, è stato scelto come luogo dal concerto la splendida Basilica di Sant’Apollinare in classe, per l’occasione affollata anche da pubblico straniero.
Un’ultima considerazione: Britten non ha attinto alle Scritture per i testi dei suoi cantici, che assomigliano a cantate più che a inni di chiesa per scala e struttura, ma un intenso spirito religioso li pervade tutti. Le opere contengono uno stato d’animo di elevazione spirituale abbastanza intenso da richiedere la realizzazione in un’ambiziosa struttura musicale. Tra i cinque Canticles spicca il quarto “The Journey of the Magi” (“Il viaggio dei Magi”), op. 86, è stato scritto nel 1971 per controtenore, tenore e baritono, con testo basato sul poema di T. S. Eliot “Journey of the Magi” (Il viaggio dei Magi).
Mette in grande valore le tre voci nelle loro differenze. Di quel velluto raffinato della voce di Bostridge, delicata ed avvolgente e dal fraseggio ampio e morbido, ai colori di quella di Borgioni alla tessitura di quella del giovane controtenore Alexander Chance, nome che ascolteremo spesso in futuro.
I concerti brandeburghesi di Johann Sebastian Bach non richiedono presentazione tanto sono noti, eseguiti ed incisi. Bach adottò per queste opere la dicitura in francese di Concerts avec plusieurs instruments. Il manoscritto bachiano non fu probabilmente mai eseguito nella sede del margravio, ma archiviato accanto ad altre 77 opere distribuite poi tra i cinque eredi. Fu solo nel 1850 (anno del centenario della morte corte, sia per particolare difficoltà della partitura; questo lo si evince dalla minor cura con cui il manoscritto di Bach) che l’opera fu finalmente resa pubblica per i tipi dell’editore Peters di Lipsia. Bach era consapevole del fatto che queste composizioni non sarebbero state eseguite, sia per la carenza dell’organico. Interessante notare che ai brandeburghesi attinse Pasolini per la colonna sonora di alcuni dei suoi film quali “Accattone” (1961), “Il Vangelo secondo Matteo” (1964), “Sopralluoghi in Palestina per Il Vangelo secondo Matteo”(1963-64), “Appunti per un film sull’India” (1968), “Sequenza del fiore di carta” (1968) e il grande quanto dibattuto “Salò o le 120 giornate di Sodoma” (1975).
L’aspetto saliente del concerto (affollato in ogni ordine di posti) è stata l’esecuzione nella splendida Basilica di Sant’Apollinare in Classe (la cui acustica è perfetta) da parte di un complesso creato circa trenta anni fa (Ensemble Zefiro) che sta mietendo successi in Italia ed all’estero. I suoi fondatori, insegnanti presso i Conservatori di Musica di Amsterdam, Salisburgo, Barcellona, Mantova, Verona, Milano, sono apprezzati solisti di famose orchestre e sono considerati tra i più validi esecutori nell’ambito della musica antica; si avvalgono inoltre della collaborazione dei migliori strumentisti in campo europeo. E’ un complesso ben nutrito che può affrontare partiture che, come nel caso dei brandeburghesi, richiedono complessi di differenti dimensioni.
Soprattutto i sei concerti non sono stati eseguiti nel consueto ordine canonico. Si è cominciato con il primo, gioioso, in fa maggiore che richiede un organico nutrito. E si è concluso con il secondo, anche esso in fa maggiore e pure esso per un organico relativamente vasto, in cui spiccano i fiati. Gli altri sono stati presentati in questo ordine: concerto No. 6 in si bemolle con un “adagio” pieno di melanconia; concerto No. 4 in sol maggiore con echi quasi dello stile francese; concerto No. 5 in re maggiore di cui l’ensemble ha sottolineato l’aspetto allegro ed il clavicembalista ha offerto una prova di vera maestria; concerto No. 3 in sol maggiore in cui hanno dominato gli archi.