La cultura militare ebbe grande influenza sul comportamento dei soldati giapponesi durante la Seconda guerra mondiale. La dottrina militare del Sol Levante non prevedeva la resa dei militari combattenti, considerandola un fatto disonorevole per l’individuo e per il Paese. Il Giappone, infatti, non aveva firmato la Convenzione di Ginevra del 1929 che regolava il trattamento dei prigionieri di guerra applicata durante la Seconda guerra mondiale. Di conseguenza disprezzavano in modo assoluto anche il nemico che si arrendeva. Questa fu la radice culturale che durante la campagna del Pacifico portò ad episodi di terribile brutalità nei confronti dei prigionieri alleati caduti nelle loro mani.
Nell’agosto 1942 il Giappone vara una legge che prevede che i piloti alleati catturati a terra o in mare da parte delle forze giapponesi possano essere giustiziati. Alcuni di loro vennero uccisi in modo brutale, mutilati e decapitati, ed è stato appurato che ci furono episodi nei quali i prigionieri catturati furono oggetto di cannibalismo. I responsabili di questi atti vennero in seguito processati per crimini di guerra e condannati alla pena capitale. Il raccapriccio per questi atti terribili è talmente forte che gli atti vengono secretati: nessuno deve venirne a conoscenza, nemmeno le famiglie dei caduti. Questi episodi rimangono pressoché sconosciuti al grande pubblico fino alla pubblicazione di un volume di James Bradley (Flyboys: a true story of courage, Little, Brown & Company, Hacette Group, New York, 2003). Le vicende narrate coinvolsero indirettamente anche George W.H. Bush, (1924-2018), a quel tempo giovane pilota della Marina americana e in seguito 41esimo presidente degli Stati Uniti dal 1989 al 1993.
George Walker Herbert Bush nasce nel Massachusetts, figlio dal senatore Prescott Bush e di Dorothy Walker Bush. È ricordato come George Bush Senior, in quanto anche suo figlio George W. Bush, noto anche come George Bush Jr., divenne in seguito il 43esimo presidente degli Stati Uniti dal 2001 al 2009.
Nel 1941, dopo l’attacco di Pearl Harbor, all’età di 18 anni, nel giorno del suo compleanno George W.H. Bush interrompe gli studi universitari e si arruola nell’aviazione di Marina. È uno dei più giovani aviatori nella storia della United States Navy. Dopo il periodo di addestramento è assegnato al VT-51, uno squadrone imbarcato sulla portaerei San Jacinto (CVL-30). La nave fa parte della task force che nei mesi di maggio e giugno opera a Wake Island e poi nelle Marianne. Nel mese di settembre la San Jacinto viene spostata nelle Bonin Islands (Isole Ogasawara) in supporto allo sbarco dei Marines americani a Iwo Jima, una delle più cruente battaglie nella campagna del Pacifico. Bush è assegnato ad una squadriglia Grumman TBF Avenger.
L’Avenger, il più pesante aereo imbarcato della Marina Usa, nasce come aerosilurante, ma sul fronte del Pacifico è utilizzato come glide bomber (bombardiere in planata). Aveva una autonomia di oltre mille miglia (quasi 1800 km), era grosso e pesante, quindi molto stabile in volo, permettendo anche un certo confort per un equipaggio di tre uomini: un pilota, un operatore radio e un mitragliere. Gli Avenger operavano in formazioni di quattro velivoli divisa in sezioni di due. La tecnica del bombardamento planato, come quella del bombardamento in picchiata, necessitava di una tecnica specifica: era necessario arrivare sull’obiettivo con un determinato angolo di discesa, indispensabile per colpire il bersaglio. Al termine della planata il pilota doveva richiamare l’aereo dolcemente, per evitare che andasse in stallo. L’Avenger era un’arma devastante se utilizzata correttamente da piloti esperti, per i quali l’addestramento era quindi un fattore cruciale.
Nel 1944 George W.H. Bush, 20 anni, è il più giovane pilota del VT-51. In patria non ha il diritto di voto e non può ordinare alcolici in un bar, ma ora è ai comandi di un mostro che a pieno carico pesa oltre 7.800 chili e costa molte migliaia di dollari. Il 2 settembre 1944 George ha già cinque mesi di esperienza di combattimento. Nella sua seppur breve carriera è già stato in azione in diverse occasioni a Guam, Saipan, Wake e Marcus Island, ha affondato una nave ed è stato costretto ad un ammaraggio forzato.
La sua squadriglia decolla dalla San Jacinto per bombardare Chichi-Jima, una piccola isola a nord di Iwo Jima che si trova a circa 15 miglia ad est della portaerei, con l’obiettivo di distruggere due stazioni radio giapponesi su Mount Yoake e Mount Asashi, facilmente visibili per la foresta di antenne erette sulle loro cime. Le postazioni radio sono circondate da nidi di pezzi contraerei che attendono l’arrivo degli americani. La stazione radio era il target primario e deve essere distrutta a tutti i costi. Bush sa cosa lo aspetta perché ha effettuato una missione analoga il giorno precedente. Il bombardamento era stato poco preciso e i danni limitati, quindi è necessario un secondo attacco. George sa che, come già successo il giorno precedente, incontreranno una pesante reazione da parte della contraerea giapponese.
Alle 7.15 la formazione di quattro Avenger decolla dalla San Jacinto. Alle 8.15 iniziano la planata verso il bersaglio, circondati dalle esplosioni della contraerea. I primi due aerei scaricano otto bombe, due tonnellate di esplosivo, su una delle stazioni radio. Ma ora i serventi giapponesi sono in massima allerta e hanno inquadrato gli aerei americani.
Quando James Bradley intervista George Bush 57 anni dopo gli chiede cosa si prova a volare diritto verso una batteria antiaerea il cui unico intento è farlo esplodere in volo. “Vedi le esplosioni tutto intorno a te. Questi minacciosi sbuffi di fumo nero. Il tuo corpo si irrigidisce, ma non puoi farci niente. Non puoi fare azioni evasive, così alla fine ti ci abitui. Pensi che quello è il tuo dovere e che devi assolverlo… e naturalmente pensi che quello ad essere colpito sarà qualcun altro”. Ma quel 2 settembre il “qualcun altro” sarà George Bush. Il suo aereo è colpito ripetutamente e il motore prende fuoco. Bush ricorda: “Ci fu un forte sussulto (…) stavamo precipitando. Dal motore usciva fumo e non potevo vedere i controlli. Ho visto il fuoco correre sull’ala verso i serbatoi del carburante. Pensavo a cosa avrei dovuto fare. E quello che avrei dovuto fare sarebbe stato sganciare quelle maledette bombe e tirare fuori il culo da lì”.
Bush mantiene la rotta per il tempo sufficiente a sganciare le bombe sulla stazione radio, poi fa una stretta virata verso est riuscendo ad allontanarsi dall’isola alcune miglia prima che il motore ammutolisca. L’aereo è ormai ingovernabile, e Bush ordina all’equipaggio di lanciarsi. Dopo di che si sgancia le cinture e salta fuori dall’abitacolo, ma tira troppo presto la corda del paracadute e rimane ferito sbattendo la testa sui piani di coda dell’aereo. Poco dopo l’aereo esplode in una palla di fuoco. Per gli altri due membri dell’equipaggio andrà molto peggio. Uno non riesce ad uscire dall’aereo e muore nell’esplosione, mentre l’altro, una volta lanciatosi, non riesce ad aprire il paracadute. Dopo l’apertura del paracadute Bush arriva in acqua e riesce a salire su un piccolo battello di salvataggio giallo che gli è stato lanciato da un altro aereo americano. È caduto a circa quattro miglia dall’isola. Ha bevuto molta acqua di mare, vomita più volte e la testa sanguina. Il canotto non ha remi ed il vento lo sta spingendo verso l’isola. Ma i guai non sono finiti. Non solo la corrente lo spinge verso Chichi-Jima, ma alcune motovedette giapponesi sono salpate dall’isola alla ricerca dei piloti abbattuti. Bush ha visto una famosa foto di un soldato australiano che sta per essere decapitato da un giapponese, sa cosa i giapponesi hanno fatto a Saipan, ed ha ben chiaro quale potrebbe essere il suo destino se venisse preso prigioniero. Alcuni dei caccia americani che hanno visto l’aereo precipitare volano in cerchio sopra di lui, proteggendolo dall’alto, e segnalando la sua presenza ai soccorsi. Una motovedetta che si avvicina viene mitragliata più volte dagli aerei americani. Il rapporto dei tecnici di manutenzione sulla portaerei accerterà in seguito che sulla motovedetta giapponese sono stati sparati oltre 1400 colpi.
Dopo quattro interminabili ore Bush vede un punto nero emergere dall’acqua ad un centinaio di metri da lui. Il punto si avvicina e qualcosa esce dall’acqua: prima il periscopio, poi la torre e quindi uno scafo scuro. È il sommergibile USS Finback mandato in suo soccorso. Bush resterà a bordo dell’unità americana per tutto il mese seguente, testimone del salvataggio di altri piloti. George H.W. Bush, futuro presidente degli Stati Uniti, ancora non sa che è scampato a quello che sarà poi chiamato “l’incidente di Chichi-Jima” .
Una sorte ben diversa toccherà ad altri nove aviatori appartenenti agli equipaggi abbattuti negli ultimi giorni e catturati dai giapponesi. Dopo aver subito terribili torture sono tutti brutalmente decapitati ed almeno uno di loro è oggetto di un episodio di cannibalismo da parte dei giapponesi. I fatti sono stati puntualmente accertati da una commissione di inchiesta al termine del conflitto.
Alle quattro del pomeriggio gli ufficiali giapponesi sono riuniti per una specie di festino nel posto di comando del maggiore Matoba. Stanno bevendo da alcune ore e sono completamente ubriachi. Si preparano per una cena a base di carne e verdure, ma sembra che la carne sul tavolo non sia sufficiente per accompagnare le verdure. Uno degli ospiti, il generale Tachibana, anche lui ubriaco, ha una idea creativa, pronunciando una frase terribile: “Dobbiamo avere uno spirito combattivo tale da essere capaci di mangiare carne umana”. Il generale usa la parola giapponese kimo, che indica specificamente il fegato, e più in generale le interiora. Il maggiore Matoba ordina ad un sottoposto ed all’ufficiale medico di esumare il corpo di uno degli americani giustiziati il giorno precedente e di estrarne il fegato. I particolari della orribile procedura sono raccontati da uno dei quattro soldati che hanno eseguito l’ordine durante l’interrogatorio al processo e riportati con tutti i particolari nel libro di Bradley. Ad almeno uno dei cadaveri dei prigionieri americani vengono tolti il fegato e i muscoli delle cosce, che sono cucinati, per essere poi mangiati con salsa di soia e verdure degli ufficiali giapponesi.
Alla fine del conflitto il caso emerge nel corso del processo per i crimini di guerra a Guam. Emergono anche i nomi dei responsabili di quel terribile rituale: il maggiore Sueo Matoba ha preparato il pasto, consumato da alcuni soldati, dal generale Yoshio Tachibana, dal contrammiraglio Kunizo Mori, e dal capitano Shizuo Yoshii. L’inchiesta coinvolge altri trenta soldati, che in seguito vengono condannati a pene detentive fino a otto anni. Il maggiore Matoba, già identificato come responsabile di torture inflitte ai prigionieri anche in altre occasioni, e altri tre ufficiali vengono condannati a morte per crimini di guerra e giustiziati. Tutti gli altri imputati vengono condannati per omicidio e impedimento di sepoltura onorevole, in quanto nel diritto militare internazionale non è contemplato il reato di cannibalismo.
George W.H. Bush riprende servizio sulla San Jacinto nel novembre 1944 durante la campagna delle Filippine. Alla fine del 1944 la San Jacinto avrà subito perdite pari al 50 per cento dei suoi piloti, e il VT-51 viene sostituito da un altro reparto. Dopo un periodo trascorso come addestratore alla base di Norfolk, prima del termine del conflitto torna in azione con gli aerosiluranti del VT-153, e viene quindi congedato con onore nel settembre 1945. Bush ha compiuto in totale 58 missioni di combattimento, ha totalizzato 1.228 ore di volo e 126 atterraggi sul ponte di una portaerei. Per il suo comportamento in azione è stato decorato con tre Air Medal e con la Distinguished Flying Cross.
Una delle portaerei classe Nimitz della Marina Usa, la CVN-77 porta oggi il nome di George H.W. Bush, 41esimo presidente degli Stati Uniti.
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