Sono sempre la luce e il vento ad accendere le pennellate vibranti di Joaquín Sorolla (1863-1923), artista spagnolo presente a Milano fino al prossimo 26 giugno con una mostra monografica allestita negli spazi espositivi di Palazzo Reale.
Se lo spagnolo Picasso, di soli vent’anni più giovane, verrà considerato a pieno titolo il Folle Genio del Novecento, Sorolla, con il suo talento, oltrepassa appena i confini dell’Ottocento. Risulta tuttavia indiscutibile il contributo di rinnovamento che la sua pittura ha saputo offrire alla Spagna e non solo.
È senza dubbio l’atmosfera radiosa della Belle Époque ad animare buona parte delle opere di Sorolla, nelle quali l’artista, grazie ad un uso sapiente di luce e colore, ci introduce senza alcuna retorica nel suggestivo panorama di fine secolo. I suoi soggetti, caratterizzati per lo più da una feriale quotidianità, fissano con tocchi decisi i delicati contorni dell’universo narrativo a cui l’artista appartiene: si tratti della sua famiglia, di un paesaggio mediterraneo o di quella variopinta umanità che popola la società di quegli anni. Questo artista, che potremmo definire un “Renoir spagnolo”, è stato infatti capace di ben intercettare il clima del suo tempo, illuminandolo di solari trasparenze e di ventose sonorità.
Per documentarlo ho scelto una tela che fotografa due giovani donne mentre passeggiano solitarie nei pressi di una marina. Ad accendere il dipinto di pennellate dense e pastose è la bianca lucentezza che promana dalle loro figure. La postura, leggermente sbilanciata in avanti, sembra quasi voler contrastare il vento che soffia gagliardo a scompigliare la raffinata eleganza degli abiti, la leggiadra consistenza dei veli, le larghe tese dei copricapi che impreziosiscono il nobile incedere delle due signore. L’imbarazzo dell’una mentre tiene testa al vento difendendo con determinazione gli accessori di rito – parasole, spolverino, cappello – si fonde con la sobria compostezza dell’altra, che pare voler dialogare con chi, sopraffatto dall’armonia di entrambe, non si stanca di contemplarle.
La prospettiva scorciata dall’alto con la quale l’artista ha voluto ritrarre le due donne, se incrementa la naturalezza dei gesti, non ne trascura però la misurata eleganza.
Sorolla, oltre che della luce, è abile maestro del colore: i molteplici toni del bianco, insieme al fine gioco d’ombre che ne deriva, conferiscono forma e volume alle due sagome femminili, esaltandone l’originale nitidezza.
Anche lo sfondo della tela, sapientemente spartito tra terra e mare, contribuisce al complessivo equilibrio dell’opera: l’azzurra increspatura dell’acqua attraversata obliquamente dalla schiuma sottile di un’onda e l’ocra sfumato del terreno su cui procedono a piccoli passi le dame, sono la cornice naturale di un mondo considerato ormai come irrimediabilmente perduto e ultimamente estraneo alla nostra sensibilità.
Se dunque Picasso, lo spagnolo per antonomasia, proiettò la sua audacia verso dimensioni dell’arte ancora inesplorate, Sorolla, in un periodo pressoché analogo, rimase invece ancorato a canoni di bellezza tradizionali, riconducibili alla forma della realtà così come essa ci appare senza assumersi il rischio di nuove sperimentazioni.
Ma perché mai, allora, uomini del terzo millennio, spesso assediati dal fascino del nulla, divisi e lacerati nella profondità dell’io, dovrebbero subire la misteriosa attrattiva che ancora promana dalle tele di Sorolla?
“Basta un attimo di coscienza” – ci ha ricordato di recente un amico – per ritrovare sé stessi e per accorgerci della nostalgia che ci cova in cuore. E se questo cuore esplodesse proprio davanti alle tele di un pittore spagnolo del quale fino ad oggi ignoravamo l’esistenza?
Dallo scorso 25 febbraio pare che, a Palazzo Reale, stia accadendo qualcosa di simile: il numero dei visitatori ha superato infatti ogni aspettativa, tanto che, oltre ai curatori, si sono stupiti anche i funzionari del Comune preposti al settore mostre: puntavano al successo di Tiziano e invece, a sfondare, è stato Sorolla.
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