Per anni ci siamo guardati le punte dei piedi, ricurvi su noi stessi e concentrati in beghe da basso medioevo. Fazioni acerrime nemiche guidate da personaggi minori ci hanno fatto perdere ogni contatto con il senso della storia imponendoci anni di litigi, apparentemente essenziali, su temi che sono rimasti irrisolti. Abbiamo assunto la postura della sconfitta annunciata, addebitando però la colpa sempre a qualcun altro. A complotti europei, mondiali o plutocratici convinti di valere tanto impegno.
Questo clima si è nutrito di paura ed ha generato paura. Chiusi in fortezze grandi quanto le nostre case, impauriti, arrabbiati, fomentati da questo odio per il diverso e per l’altrove, abbiamo perso come Paese la storica capacità di essere luogo di accoglienza, la capacità come italiani di mischiarci ad altri popoli restando sempre noi stessi. Siamo diventati, in questi decenni, meno mediterranei, tentando di imitare l’asprezza e la rigidità dei tèutoni, la nettezza di giudizio anglosassone senza alcun beneficio.
Ma se perdiamo la duttilità culturale, la raffinatezza di pensiero, diventiamo un popolo peggiore degli altri. Il Mediterraneo, ad esempio, è stato trasformato in confine armato, militarizzato come nella storia raramente si ricorda, trasformato in fossa comune di migranti. In realtà era e resta la superficie più prolifica e ricca a cui noi possiamo guardare. Un continente unito dall’acqua, la cui identità è chiara anche in luoghi lontani ma bagnati dal mare che sta “in mezzo alle terre”.
La sua cultura ha una matrice che finalmente a Napoli ha trovato un importante momento di affermazione. A Palazzo Reale 25 Paesi hanno sottoscritto la dichiarazione finale sulla Cultura nel Mediterraneo, definita l’Impegno di Napoli, che istituisce la capitale della Cultura del Mediterraneo, da decidere assieme agli altri 24 Paesi ogni anno, e impegna istituzioni internazionali e Stati a cofinanziare e coordinare politiche culturali comuni che valorizzino la radice delle nazioni bagnate dal Mare nostrum. Paesi diversi e lontani sul piano politico, di diverso credo, opposti tragicamente, come Palestina e Israele, erano presenti ed hanno condiviso il testo.
Un evento che Franceschini ha voluto e spinto con forza, seguendo, in controtendenza rispetto al mainstream, chi da anni vedeva nel Mediterraneo la necessaria area privilegiata di azione del nostro Paese come ponte con l’Europa. Un atto politico che può essere fondante di una nuova stagione se sapremo archiviare la stagione degli estremismi che hanno vinto la battaglia, fino a poco tempo addietro, sia nella sponda Sud del Mediterraneo che in Europa. Tra il rifiuto di dialogo di parte dei nazionalisti ed i fondamentalismi anti-europei in alcuni Paesi, si era creata una salda alleanza per dividere le genti e rendere meno proficue le relazioni. La cultura può essere la spinta per far ripartire il dialogo tra luoghi e persone, istituzioni culturali e attori economici e riprendere le fila di un dialogo tra i popoli.
Da Napoli può partire un cenno, un movimento che ci faccia rialzare la testa come Paese e ci apra la mente ad orizzonti nuovi per questi tempi ma antichi per le onde del mare. Una fase di riscoperta reciproca tra le diverse sponde e di pace attraverso la cultura ed il commercio. Fase storica che avrebbe precedenti importanti e che mette alla prova la politica ed i popoli che cercano la rotta giusta per vivere il presente con prospettive di pace e crescita.
Napoli è stata per alcuni giorni la città capitale di questo importante continente, unito e non diviso dal mare, e lo sarà in prospettiva per un anno intero. E può essere la mossa giusta per rimettere la schiena dritta e guardare attorno a noi ciò che ci circonda e fare dei passi avanti invece che restare a curvi ed impauriti. Guardare negli occhi con consapevolezza chi vive in sponde diverse, e trovare gran parte di noi e della nostra cultura, può darci la forza di comprendere quanta energia e quanta responsabilità abbiamo come Paese nel costruire il nostro futuro.
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