Uno sport poco praticato ma di grande soddisfazione è l’andar contro corrente, diceva Morandotti, ed è quello che questo articolo si propone di fare. In un tempo in cui è diffuso nella società un sentimento di disprezzo e di totale disinteresse nei confronti dei partiti e della politica in generale, parliamo invece della necessità di ripristinare il finanziamento pubblico alle associazioni e ai movimenti politici. Pronti a nuotare nella direzione opposta del fiume in piena? Proviamoci.
La nostra Costituzione concepisce i partiti politici come associazioni non riconosciute di diritto privato, anche se sottoposti a determinati obblighi dalla legislazione elettorale. In un contesto liberal-democratico come il nostro, per garantire un pluralismo che consenta a tutti i cittadini di prendere parte al governo della comunità e affinché la naturale competizione politica sia retta da principi e standard normativamente uguali, trasparenti, misurabili e giustiziabili, ecco che diventa necessario avere una contribuzione pubblica nei confronti di partiti e movimenti che vogliono concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. E questa esigenza venne colta da Flaminio Piccoli, vecchio leone della DC, il quale presentò un progetto di legge che regolava il finanziamento pubblico ai partiti, per evitare che essi fossero destinatari di donazioni illecite o provenienti da gruppi di persone. Così tale legge venne alla luce nel 1974 e operò per circa vent’anni.
Erano quelli gli anni di forte protagonismo dei partiti nella vita del Paese: basti pensare alle scuole di formazione che venivano svolte al fine di allevare la classe dirigente, ai congressi locali e nazionali in cui ci si confrontava su idee e programmi, alle magnificenti sedi di cui disponevano a Palazzo Cenci-Bolognetti in Piazza del Gesù o al civico n. 4 di via delle Botteghe Oscure a Roma. E tutto questo come svanisce? Con un biennio che ha sconvolto la Repubblica: la stagione di Tangentopoli. È da quel momento che inizia a cambiare il rapporto tra cittadini e partiti, dei quali rimangono macerie che forse raccogliamo ancora oggi. Grazie all’avallo del mondo dell’informazione, nell’opinione pubblica comincia piano piano a diffondersi un sentimento di ostilità nei confronti della politica, il quale porta al trionfo di un referendum abrogativo nel 1993: viene eliminato il finanziamento pubblico ai partiti, lasciando ad essi soltanto la possibilità di ricevere dei rimborsi per le spese sostenute in competizioni elettorali nazionali, europee e regionali.
Ma dopo quegli anni nulla sarà come prima… Lo scollamento tra cittadini e Stato, la disintegrazione dei corpi intermedi, gli scandali, l’apatia verso le istituzioni, la nascita di alcuni movimenti portatori di rabbia, la demonizzazione dei costi della politica, la lotta ai cosiddetti privilegi, il tritacarne mediatico, hanno portato i partiti a diventare semplici aggregazioni attorno ai leader, come dice il professor Cassese, e per di più nel 2013 è stata partorita una legge (forse cavalcando un’onda emotiva, e in Italia di leggi nate così possiamo farne una collezione) che ha eliminato il contributo diretto pubblico e lo ha sostituito con contributi volontari fiscalmente agevolati e con il 2×1000 da poter destinare ai partiti che hanno determinati requisiti.
E ora? In che direzione vogliamo andare? Guardando alla catastrofe politica italiana, per i partiti è giunto il momento di riconquistare la dignità perduta, tornando ad avere organizzazioni territoriali, radicamento nella società, capacità di selezione della classe dirigente e cura della formazione, preservare l’identità che gli viene assegnata dalla Costituzione: essere strumento della democrazia statale. Ed è per questo motivo che bisogna avere nuovamente il finanziamento pubblico ai partiti, come avviene in tutti gli Stati europei, al fine di poter svolgere al meglio le loro attività e non diventare portatori di interessi di gruppi ristretti. La contribuzione pubblica dovrebbe essere accompagnata, naturalmente, da adeguati obblighi da rispettare ai fini della trasparenza e dalla previsione di organi ad hoc competenti a vigilare sulla correttezza dell’impiego delle risorse, per esempio commissioni parlamentari di vigilanza a composizione mista.
Detto ciò, vediamo se c’è qualche partito che vuole andare contro corrente ed elaborare una proposta di legge in tal senso. Sarà impopolare di sicuro, ma fare politica in fondo è anche essere una voce che grida nel deserto.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.