Scenario italiano in Israele, dove si tornerà a votare per la quinta volta in meno di quattro anni. E’ infatti caduto, dopo soli 13 mesi, il governo nato dall’alleanza dei due leader Naftali Bennett e Yair Lapid, un governo che nasceva, come ci spiega in questa intervista Filippo Landi, già corrispondente Rai da Gerusalemme, “dal tentativo sostenuto da una forte parte dell’opinione pubblica israeliana di porre fine al regno di Benjamin Netanyahu durato ben dodici anni e di una classe politica coinvolta in scandali e abusi di potere”.
Era però un governo sin dalla sua nascita fragile, basato su una maggioranza formata da otto partiti tra destra, sinistra e centro, alleati per la prima volta ai conservatori islamisti del partito arabo-israeliano Ra’am. E’ bastata infatti la defezione di due deputati della maggioranza per mandare in crisi tutto, facendo precipitare l’esecutivo sotto la soglia di sopravvivenza, 59 deputati su 120. “Non credo che Netanyahu, che ha fatto di tutto per far cadere questo governo, abbia una chance realistica di tornare al potere”, ci ha detto ancora Landi.
In Israele è caduto un governo che si reggeva su una maggioranza molto risicata: Bennett e Lapid pensavano veramente di arrivare a fine legislatura?
Questo governo era nato pochi mesi fa non avendo una chiara maggioranza, ma sperando di poter catturare cammin facendo consensi all’interno dell’opposizione di destra e di centro-destra.
Invece?
Si è verificato l’opposto: sono stati proprio esponenti eletti nelle fila dei partiti che hanno sostenuto la maggioranza che nel volgere di pochi mesi hanno lasciato, auspicando più che nuove elezioni, la formazione di un governo di unità nazionale, quindi che portasse nelle stanze del potere anche l’opposizione di destra.
L’opposizione di Netanyahu è stata decisiva per far cadere questo governo?
Il lavorio di Netanyahu per cercare di minare il governo è iniziato ancora prima che questo governo nascesse. Non c’è stato bisogno di nulla perché cercasse di portare dalla sua parte quel numero di deputati necessario a far cadere il governo. Netanyahu e soprattutto i movimenti di estrema destra hanno dimostrato di poter rompere gli equilibri dello status quo a Gerusalemme. Le manifestazioni nella città e soprattutto la presenza ormai quotidiana di estremisti di destra sul Monte del Tempio hanno dimostrato che Netanyahu influenza politicamente una parte consistente dell’opinione pubblica e anche di alcuni apparati della polizia.
Abbiamo infatti assistito a episodi incresciosi, come le violenze della polizia ai funerali della giornalista di Al Jazeera, Shireen Abu Akleh.
La sua uccisione nel campo profughi di Jenin e poi gli assalti della polizia al suo funerale dimostrano che almeno alcuni ufficiali della polizia sono andati con la mano pesante senza considerare le conseguenze. Ma non credo che questo e altri episodi di violenza abbiano minato la credibilità del governo.
Adesso Netanyahu cercherà di riprendersi la leadership. Che chance ha?
Non si può dare per scontata una sua vittoria. La decisione di Bennett di dimettersi apre scenari in cui questa maggioranza potrebbe addirittura consolidarsi, forse non di molto, ma non bisogna pensare che Netanyahu abbia già vinto. Anche perché rimane immutato il motivo di fondo della nascita di questo governo, motivo valido oggi come un anno fa.
Allontanare, cioè, proprio Netanyahu dal potere?
Sì, ma non solo lui. La richiesta di una parte importante e forse maggioritaria dell’opinione pubblica israeliana di cambiare la classe politica che per decenni ha guidato Israele e che ha in Netanyahu il suo simbolo, in quella continuità del potere scandita da una serie di scandali che hanno coinvolto anche suoi collaboratori importanti. Questa richiesta di cambiamento la vedo ben presente così come lo era un anno fa.
(Paolo Vites)
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