Caro direttore,
l’esito del ballottaggio a Verona promette di essere molto rilevante – ai limiti del decisivo – per Giorgia Meloni, chiunque esca vincitore dal duello fra il sindaco uscente – Federico Sboarina (FdI) – e lo sfidante Damiano Tommasi, civico di centrosinistra.
In un primo scenario, a Sboarina (33% al primo turno) riesce la rimonta su Tommasi (40%). Il sindaco uscente viene riconfermato nonostante il “no” all’apparentamento con le liste di Flavio Tosi. L’ex primo cittadino, “terzo incomodo”, è stato battuto il 12 giugno ma non senza aver assorbito il 24% dei voti (essenzialmente da FI ed ex leghisti dissidenti), dalla maggioranza di centrodestra che ha sostenuto Sboarina nell’ultimo quinquennio. Se il sindaco Sboarina – affermatosi nel 2017 come indipendente di centrodestra – vincerà la partita 2022 avendo tenuto duro sul rifiuto del “soccorso” offerto da Tosi avrà dimostrato di aver saputo attrarre l’intero schieramento: anche dopo essersi iscritto a FdI un anno fa.
Sul sagrato di San Zeno, allora, aveva voluto esser personalmente presente Meloni. Sui manifesti pro Sboarina appiccicati sui muri della città scaligera, c’è stato anche il suo volto magnetico. Se il “suo” candidato s’imporrà, sarà una sua vittoria strategica. Meloni pianterebbe per la prima volta la sua bandiera in una grande città del Nord: una potenza economica di primo livello al centro della Pianura Padana, fra la Lombardia della Lega di Matteo Salvini e il Nordest del supergovernatore Luca Zaia, dell’emergente Massimiliano Fedriga in Friuli Venezia-Giulia e di Mauro Fugatti nella “superprovincia” di Trento.
Non sarebbe del tutto esagerato affermare che a Verona Meloni – peraltro un ex ministro – comincerebbe a veder legittimate le aspettative di partecipazione di FdI al governo del Paese dopo il voto politico 2023. Questo avverrebbe con FdI “stand alone”: vincente sulle dialettiche vecchie e nuove interne alla “Lega Nord” e anche sugli estremi tatticismi di Forza Italia.
La scommessa di Sboarina (e di Meloni su scala nazionale) potrebbe tuttavia essere perduta nella “finale” con Tommasi nei dintorni del Bentegodi (e non è solo metafora: il candidato di centosinistra è stato colonna dell’Hellas, la cui tifoseria, peraltro, è uno degli storici fan-club del sindaco uscente). È questo il secondo scenario: quello di una sconfitta strategica del centrodestra in una città che in epoca repubblicana è stata ininterrottamente amministrata da un blocco moderato-conservatore: anche quando fra il 2002 e il 2007 a Palazzo Barbieri si è insediato per la Margherita Paolo Zanotto (il padre Giorgio era stato sindaco Dc e poi presidente della potente Popolare scaligera). Per Sboarina – ma soprattutto per Meloni – sembra però già pronta una buona “narrazione” difensiva: quella della “pugnalata alle spalle” da parte di Lega e FI. Che prima non hanno impedito la candidatura Tosi (a conti fatti autolesionista per l’interessato e per il centrodestra) e poi non hanno saputo – o voluto – gestire l’impasse tattica dopo il primo turno. A Verona e a Roma.
La possibile perdita di Verona non si profila comunque come un semplice “incidente locale”. E non è detto che Meloni sia immune da rischi e potenziali effetti collaterali, anzi. Un terzo scenario – finora quasi mai immaginato – ha preso a delinearsi nelle ultime ore. Quando Sboarina ha acquistato inserzioni sui giornali locali per un “appello personale” agli elettori, decisamente non usuale nei toni, presumibilmente dettati dai sondaggi dell’ultimissima ora. Un’uscita dura e polemica, tutta incentrata su un attacco personale allo sfidante Tommasi. Quasi irriso (“faccia di brao butel”, nero su bianco) prima di essere accusato di rappresentare “il peggio della vecchia sinistra”, che “regala soldi ai nullafacenti”. Il finale (“cinque anni sono poi lunghi da passare”) può essere perfino inquietante: soprattutto alle luce lunare delle ultime notti veronesi. Quando – poco fuori il centro invaso dai turisti già in stagione areniana – si sono uditi gruppi di sostenitori di Sboarina intonare canzoni “d’epoca”.
Se domenica sera Tommasi vincesse, Sboarina “non concedesse la vittoria” e qualche “sciamano” locale assaltasse Palazzo Barbieri alla maniera degli estremisti trumpiani il 6 gennaio 2021 al Campidoglio di Washington, il problema sarebbe anzitutto del prefetto di Verona e della sua collega Luciana Lamorgese, che siede al Viminale. Ma il problema più grosso sarebbe di Giorgia Meloni.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.