Sarà poi vero che la bellezza salverà il mondo, come profetizzato dal principe Myskin ne L’idiota di Dostoevskij? Più facile essere scettici e dubitarne assai che crederci davvero. A meno che, come una bella sorpresa, ci sia dato un qualche segno, anche piccolo ma convincente. Un qualche testimone. Poniamo che un maestro come Riccardo Muti faccia quello che ha fatto in questi giorni al Millennium Park di Chicago, dove ha diretto l’esecuzione (anche) di capolavori di autori russi come Cajkovskij e Sostakovic. Con semplicità e coraggio, ha testimoniato che c’è qualcosa di più grande che non può essere sacrificato alle logiche distruttive della politica di guerra. Ciò che esprime e trasmette bellezza è un dono prezioso da amare, rispettare e custodire. L’alternativa è il rogo dei libri voluto da grandi dittatori, o la cancellazione di Dostoevskij dal programma di insegnamento voluto da piccoli professorucoli, timorosi di passare per putiniani in pieno inedito iper-atlantismo. Ma, a scanso di equivoci, si ricordi che nel 2018 Muti ha diretto a Kiev Le vie dell’amicizia e il mese prossimo farà cantare nel suo concerto con l’orchestra Cherubini a Lourdes e a Loreto 34 artisti ucraini (dei 64 che la moglie Cristina ha portato a Ravenna).
Il grande Muti ha fatto anche di più, sempre a Chicago, una roccaforte della cancel culture, dove la sindaca afro-americana rifiuta di dare interviste a giornalisti bianchi perché il maschio bianco eterosessuale è geneticamente malvagio, secondo l’ ideologia neo-puritana dilagante, e va dunque ostracizzato in quanto colpevole unico di tutte le nefandezze della storia contro chi non è bianco, non è maschio, non è etero, ecc.
Con la sua Chicago Simphony Orchestra, Muti ha eseguito il Ballo in maschera di Giuseppe Verdi, con totale rispetto della scrittura originaria, anche del testo, che contiene a un certo punto la frase impronunciabile “Ulrica, dell’immondo sangue de’ negri”. La cancel culture, ormai dogma di tanti centri di potere anche nel mondo dello spettacolo, in questi casi impone di riscrivere il testo alterandolo. Così fanno in tanti. Al confronto il Braghettone, che dipinse mutande e pannoloni sopra le parti intime di grandi capolavori della pittura, ci appare un audace liberal. Per non dire degli amanuensi che hanno copiato le opere antiche latine e greche con assoluto rispetto per i testi, comprese le poesie d’amore lesbico di Saffo o l’Ars amatoria di Ovidio, che basta il titolo.
Ma torniamo a Muti. Combinazione, il tenore che doveva eseguire quella parte, la parte del giudice che pronuncia frase indicibile, è un uomo di colore. Il maestro ha spiegato a tutti gli artisti che tale frase non rispecchia il pensiero di Verdi che anzi, attraverso altre voci che difendono Ulrica, punta il dito contro il razzismo del giudice. Poi ha chiesto al tenore se gli facesse problema pronunciare quelle parole, e il tenore gli ha risposto che no, non c’era problema. Lo spettacolo va in scena. Standing ovation.
Questo amore per la bellezza che è amore e rispetto del vero e dell’altro, è un esempio di antidoto alla nuova intolleranza dei “puri” – magari con maschera progressista – che hanno assunto l’ideale fondamentalista del crucifige avendo rigettato l’ideale cattolico del perdono.
La tensione al perdono è la miglior polizza assicurativa di una buona convivenza sociale, ma non può che nascere nel cuore della persona. Ideale, tensione: nessuno offeso sa dire di getto all’offensore “Ti perdono” veramente. E un difficile cammino che a buon diritto potremmo dire di conversione. Chi ha letto o ascoltato, per esempio, le testimonianze di Gemma Calabresi, vedova del commissario assassinato nel 1972, se ne può rendere conto bene.
Ora, un simile lavoro su di sé sta compiendo, a quanto ci è dato sapere, il padre di Umberto, il trentasettenne ucciso da un motoscafo di due tedeschi sul lago di Garda, mentre era in barca con l’amica Greta. Contro il parere di famigliari, amici e avvocati, l’uomo – che si chiama Enzo Garzarella – ha accettato l’invito di uno dei due tedeschi, il manager cinquantenne Christian Teismann (quello che non era alla guida del motoscafo), ad incontrarlo. L’incontro è avvenuto al cimitero dove è sepolto Umberto. “Perdono?”, gli chiede il giornalista del Corriere, Andrea Pasqualetto, verso la fine dell’intervista (apparsa sabato 25). “Ci sto provando, ma non me la sento ancora… Per me è stato un dolore immenso, volevo prendere il fucile e spararmi. Poi è intervenuto qualcosa che mi ha salvato, ma la strada è lunga”. Queste sono parole credibili, vere. Non in favore di telecamera.
Enzo non riesce ancora a perdonarlo, il Teismann, “ma nemmeno lo odio e non voglio il suo male… Mi ha detto che l’hanno licenziato a causa della disgrazia. Mi chiedo che senso abbia rovinare così un uomo che è anche padre di famiglia, dategli una chance. Certo ha sbagliato e purtroppo il suo errore è costato la vita a mio figlio e a Greta ma… Per me lui non è un essere malvagio come forse passa per essere in Germania. È un uomo che ha commesso un errore, questo sì, non doveva ubriacarsi… Non è giusto punirlo in modo eccessivo, ci pensa già la sua coscienza a farlo”.
Finché ci sono uomini come Riccardo Muti e Enzo Garzarella, finché si cerca bellezza e perdono, c’è speranza. Il grande Claudio Chieffo lo cantava: “come può sperare un uomo che ha in mano tutto ma non ha il perdono?”
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.