Chi aveva tirato un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo di una crisi di governo sotto la canicola rischia di restare deluso. Nonostante le rassicurazioni fornite al Quirinale, Giuseppe Conte continua a lanciare segnali minacciosi in direzione di Palazzo Chigi. Varcherà quel portone a lui ben noto oggi pomeriggio per un confronto con Draghi che si preannuncia tutt’altro che semplice.
Minacciosa sembra essere la convocazione per stamattina del consiglio nazionale pentastellato: l’intenzione sembra essere quella di presentarsi nello studio del premier con un mandato forte e condiviso con i vertici del Movimento. Su Conte la pressione dei militanti è forte, in tanti spingono per per l’uscita dal governo. E lo stesso pensiero è condiviso da numerosi parlamentari, quelli che non hanno seguito le sirene governiste di Di Maio. Alcuni, come Airola, uno della prima ora, lo dicono chiaro: basta con il sistematico smantellamento dei nostri obiettivi politici. Se si andasse a una consultazione online della base, come ipotizzato da Roberta Lombardi, una consultazione vera, ci sono pochi dubbi su come si esprimerebbe la maggioranza dei militanti.
Conte però si è trovato con il cerino in mano, e pure con Beppe Grillo contro. In questa vicenda, infatti, il fondatore e garante dei 5 Stelle non ha difeso l’attuale presidente del Movimento. Il sospetto che la telefonata rivelata dal sociologo Domenico De Masi ci sia stata rimane anche dopo le smentite diplomatiche di Draghi e di Grillo. Un’ombra, uno scavalcamento in quel dialogo non negato, passato sopra la sua testa. Addirittura con la sua testa come argomento.
A Mattarella Conte ha assicurato di non avere intenzione di uscire dal governo, e neppure di passare all’appoggio esterno. Draghi ha detto che senza 5 Stelle non c’è governo, Letta ha aggiunto che basterebbe il passaggio all’appoggio esterno per rendere impossibile l’alleanza in vista delle prossime elezioni politiche.
Con queste premesse il sentiero davanti a Conte appare strettissimo. Uscire dal governo potrebbe voler dire provocare le elezioni anticipate. A Draghi il presidente M5s chiederà di dimostrare che il Movimento è davvero importante, come proclamato in conferenza stampa dal premier.
La sua è una difficile lotta per far sopravvivere una formazione politica in crisi profonda, di consenso e dì identità. C’è il nodo del limite del doppio mandato da sciogliere (con Grillo che lo difende strenuamente), e conquiste storiche da difendere (il reddito di cittadinanza, il super bonus). E l’emorragia provocata da Di Maio indebolisce un organismo già malato.
Ma 5 Stelle deboli, divisi e spaventati (dalle elezioni) costituiscono un freno per il governo. Draghi è uscito dalle secche del caso De Masi come ha dimostrato di saper fare, cioè accelerando, e presentandosi come l’unica espressione affidabile di un Paese governato da una classe politica puerile e litigiosa. Ha vantato il raggiungimento di tutti i 45 obiettivi previsti per il primo semestre dalla Ue per l’Italia. Cosa che consente di reclamare legittimamente la nuova tranche del Pnrr, circa 25 miliardi di euro.
Peccato che di quei 45 obiettivi ben pochi siano vere e proprie riforme strutturali. I nodi sono rinviati alla seconda parte dell’anno e a una legge di bilancio che non potrà essere di spesa, sotto la pressione della guerra in Ucraina, del caro energia e dell’inflazione tornata a galoppare come non accadeva dagli anni Ottanta. Visto che anche Salvini scalpita e sgomita per avere visibilità e tentare una risalita nei consensi, per i prossimi mesi a Palazzo Chigi si attendono una navigazione complicata.
Inevitabile che più che mai torni il Quirinale l’elemento chiave della tenuta del quadro politico. Mattarella ha fatto sapere che quello di Draghi è l’ultimo governo della legislatura. Allo stesso modo, però, è facile prevedere che farà di tutto per evitare che, precipitando verso le urne in autunno, si finisca in esercizio provvisorio. La sua moral suasion in questi giorni convulsi si è vista chiara: i colloqui con Conte, quello con Draghi, la smentita delle parole attribuite al premier. Allacciamoci le cinture, quindi, turbolenze in vista, anche se in cabina di pilotaggio il duo Mattarella-Draghi farà di tutto per attutire i colpi.
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