Nel lungo cammino di gestazione del nuovo sistema di istruzione terziaria professionalizzante (ITS Academy), iniziato con il DPCM 25 gennaio 2008 e fino alla stabilizzazione con la legge in questi giorni in approvazione definitiva alla Camera dei deputati, uno dei temi più dibattuti è stato quello dei finanziamenti e in relazione a esso dei costi che il nuovo sistema avrebbe comportato per la collettività. Spesso tra i punti critici del sistema sono stati indicati l’eccessivo costo “pro studente formato” e l’ammontare delle risorse “sottratte” ai tradizionali sistemi formativi.
Nella realtà i numeri descrivono una situazione molto diversa, nella quale la spesa dello Stato è stata molto limitata, prevedendo per l’intero sistema ITS uno stanziamento ordinario statale che è andato da circa 30 milioni di euro di qualche anno fa sino ai 68 milioni di euro dello scorso anno, integrato da risorse regionali. Nella logica “mista” di gestione degli ITS, infatti, già nel DPCM costitutivo si prevedeva che le Regioni contribuissero per almeno il 30% al finanziamento delle neonate fondazioni.
Lo sviluppo successivo ha visto l’iniziale percentuale a carico delle Regioni via via aumentare fino ad arrivare in alcuni casi a un finanziamento regionale, per gran parte derivato dal Fondo sociale europeo, di oltre il 70% dell’ammontare complessivo. Ma quanto costa in realtà formare un “Tecnico Superiore”? E, soprattutto, le risorse investite sono ripagate dai risultati in termini di occupabilità e di soddisfazione dei portatori di interesse (allievi, imprese, sistema sociale)?
Le risposte stanno nei numeri che mai come in questo contesto sono stati analizzati e portati ai tavoli di discussione.
Già il citato DPCM prevedeva inizialmente che il costo della formazione dovesse rispondere al parametro di 6/8 euro per allievo e per ora, costo che riportato a un costo annuale per il classico corso biennale di 2.000 ore dà il risultato di 6.000/8.000 euro annuali per allievo. La situazione è andata ulteriormente evolvendo con la definizione dei “costi standard” avvenuta con Decreto Dipartimentale MIUR il 28/11/2017 che prevede una UCS (Unità di Costo Standard) per ora di percorso di 49,93 euro e una UCS per allievo formato di 9.619,00 euro.
Si ottiene, quindi, per un corso biennale di 2.000 ore (1.000 ore all’anno) con 20 allievi formati, una spesa massima ammissibile 292.240,00 euro, corrispondenti a un costo di 7,30 euro per allievo e per ora, ma portando il corso a 25 allievi formati, diminuisce a 6,80 euro per allievo per ora. Su tale parametro devono però essere riportate alcune annotazioni importanti. Innanzitutto, la spesa massima ammissibile è comprensiva di eventuali cofinanziamenti quali contributi di iscrizione degli allievi, valorizzazione di eventuali docenze o tutoraggi prestati gratuitamente dalle aziende, valorizzazione di comodati gratuiti da parte di enti locali per l’utilizzo di sedi, ecc.
La seconda osservazione è che il contributo erogato per i corsi viene decurtato della quota (9.619,00 euro) per ogni allievo non formato sotto il numero minimo di 20 allievi/corso. Se si vanno a paragonare tali costi standard con i costi standard universitari pubblicati qualche tempo fa ateneo per ateneo dall’allora MIUR (a.a. 2018/2019) si nota che il costo standard medio nazionale per uno studente in corso è di 6.800 euro, perfettamente coincidente con quello di uno studente ITS per una classe di 25 allievi.
Se poi si passa dai costi standard ai costi reali, quanto speso da Stato e Regioni e altri enti locali, quindi, l’impatto sulla spesa pubblica nazionale è decisamente inferiore per gli ITS in considerazione che molte regioni finanziano i corsi con contributi più bassi dei costi standard. Possono risultare, d’altra parte, un buon termine di paragone per una valutazione complessiva anche le cifre pubblicate dal ministero dell’Istruzione lo scorso anno sul costo medio studente annuale per i vari segmenti dell’istruzione.
In questo caso troviamo per la scuola secondaria superiore un costo medio annuale di 7.471,51 euro, per la secondaria di primo grado di 6.915,55 euro, per la primaria di 6.288,68 euro e per quella dell’infanzia di 6.027,50 euro. Dalle cifre si evince, quindi, che soprattutto rispetto alla scuola secondaria di secondo grado i costi ITS siano assolutamente competitivi.
Il vantaggio in termini di redditività economica assume poi numeri importanti se si rapporta il tasso medio di occupabilità degli ITS (medio italiano 80% INDIRE 2022) con quello dell’Università (45% ALMALAUREA 2021), anche se all’evidenza esso varia molto con il tipo di laurea, mentre sulla soddisfazione dei “portatori di interesse” varrebbe la pena di effettuare indagini qualitative approfondite.
In buona sostanza, quindi, pur con l’imprecisione del confronto di dati non completamente omogenei e senza la pretesa del rigore statistico, sembra di poter affermare che il sistema terziario professionalizzante prossimo alla stabilizzazione con la legge in approvazione si è organizzato nei primi anni di sperimentazione per ottimizzare i propri costi e per offrire una formazione qualitativamente eccellente con costi paragonabili agli altri segmenti dell’istruzione.
Restano da risolvere anche in questo campo alcune questioni importanti che possono essere riassunte nei punti seguenti.
La prima è sicuramente la stabilizzazione delle risorse finanziarie, superando la logica del “bando annuale” che oltre a non dare prospettive di programmazione pluriennale costringe le fondazioni ITS a presentare ogni anno progetti per i corsi in programma soggetti ad approvazione regionale.
La seconda è il riconoscimento integrale dei “costi standard” a livello di contributi nei bandi regionali. Attualmente, infatti, mentre in alcune Regioni le quote previste vengono erogate in modo completo, in altre subiscono riduzioni, anche cospicue, che rischiano di pesare sulla qualità dei corsi erogati.
Resta al contrario assolutamente da mantenere, a parere di chi scrive, la pratica dell’erogazione di una quota dei finanziamenti con un sistema legato al risultato quanti-qualitativo dei corsi (premialità) basato su una valutazione oggettiva effettuata da enti terzi. Tali contributi dovranno essere integralmente riconosciuti alle fondazioni che li hanno “meritati” così come concepito nella logica del provvedimento e non trattenuti in tutto o in parte come accade attualmente in alcune Regioni.
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