Overtourism e revenge travel, il superaffollamento turistico e la gran voglia di viaggiare nel post (post mica tanto) pandemia, stanno spingendo la città-test per antonomasia, Venezia (che si divide il podio tra le città d’arte più gettonate con Roma e Firenze, ma in più “vanta” una fragilità ben maggiore), a contromisure eccezionali. Qualche giorno fa abbiamo riportato su queste pagine dei ticket d’accesso, del rincaro delle corse in vaporetto, dell’obbligo alla prenotazione degli accessi, tutti escamotages per tentare di governare i flussi, diluendoli e indirizzandoli. Ma in una città di circa 50 mila residenti, con oltre 80 mila posti letto (hotel e camere in affittanza) e novemila appartamenti in locazione breve (secondo Ocio, l’Osservatorio CIvicO sulla casa e la residenza, i posti letto nelle strutture ricettive del settore non alberghiero erano 40 mila nel 2019), l’impresa sembra destinata a risultati incerti. Tanto da spingere gli amministratori a nuove iniziative, stavolta centrate sugli affitti brevi, sulla rotta già abbondantemente tracciata da altre città europee.
Dal 2019, ad esempio, Amsterdam ha approvato un regolamento che stabilisce che le case intere possono essere affittate fino a un massimo di 30 pernottamenti all’anno. A Londra gli affitti a breve termine sono limitati a 90 notti l’anno. A Lisbona si riconvertono le locazioni turistiche rimaste vuote in affitti a prezzi accessibili per lavoratori stabili della città.
Adesso il decreto Aiuti (articolo 37 bis, già accolto dalla commissione) stabilisce che Venezia potrà decidere quanti immobili adibire alla residenza e quanti al turismo e far scattare – dopo 120 di giorni di locazioni brevi – il cambio di destinazione d’uso, facendo perdere al proprietario i vantaggi della cedolare secca. Venezia dunque sarà la prima città italiana a tentare questa strada per frenare le locazioni turistiche brevi, ma per la città lagunare non si tratta semplicemente di questo: è una questione di sopravvivenza, per sconsigliare i veneziani residenti dal trasferimento in terraferma per mettere le proprie abitazioni insulari in affitti redditizi. I trend dimostrano che se non ci sarà un’inversione di tendenza, in pochi anni si arriverebbe a una città fantasma, con pochi residenti stanziali zombie in un’unica distesa di case affittate a turisti, tipo gli hotel e i residences inseriti nei parchi tematici. Una Veniceworld magari sempre bella, ma davvero senz’anima.
L’emendamento inserito nel decreto Aiuti porta la firma del deputato veneziano dem Nicola Pellicani, che ha comunque recepito istanze trasversali, in primis quella del sindaco Luigi Brugnaro, che da molto tempo invocava una norma simile. Non è filato tutto liscio, ovviamente: Lega e M5s all’inizio erano contrari, Forza Italia e Coraggio Italia volevano che fosse lo Stato a decidere il cambio d’uso da residenziale e ricettivo dopo 120 giorni e non Venezia. Ma alla fine l’accordo è stato raggiunto in un campo largo “alla veneziana”: hanno votato a favore Pd, M5S, Lega, FI, Insieme per il Futuro; astenuti Italia Viva e Noi con l’Italia, contrari Fratelli d’Italia e Alternativa. Altrettanto ovviamente, le associazioni di proprietari e locatori che annunciano battaglia.
Il Presidente di Confedilizia nazionale Giorgio Spaziani Testa dice che l’emendamento è liberticida, di dubbia costituzionalità: “Si attribuisce a un’amministrazione comunale il potere di stabilire se, come e quando un cittadino possa esercitare il diritto di proprietà sulla sua casa”. E il Presidente veneziano della stessa rappresentanza, Giuliano Marchi, aggiunge che “si rischia che le locazioni si concentrino tutte nel periodo più redditizio dell’alta stagione e addio distribuzione dei flussi”. Al contrario, il M5s supera di lato: secondo la senatrice Orietta Vanin la norma “traccia solo una linea di indirizzo: non è vincolante, non c’è obbligo giuridico”. E probabilmente è vero che una norma nazionale sarebbe preferibile a un regolamento che vale solo per una città. “Non possono esistere città d’arte di serie A e di serie B”, ha detto il Sindaco di Firenze Dario Nardella. Gli ha risposto in un tweet lo stesso Pellicani: “La norma è destinata a fare da apripista anche per altre città come Roma e Firenze”.
Il settore delle locazioni brevi nasconde comunque altri aspetti controversi e di scarsa trasparenza. Vale la pena ricordare che l’Agenzia delle Entrate stabilisce che “per contratto di locazione breve si intende un contratto di locazione di immobile a uso abitativo, di durata non superiore a 30 giorni (…) I dati relativi alle locazioni brevi devono essere trasmessi entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del contratto. L’adempimento riguarda coloro che esercitano attività di intermediazione immobiliare e coloro che gestiscono portali telematici. Gli intermediari che intervengono nel pagamento o incassano i canoni/corrispettivi relativi ai contratti di locazione breve devono effettuare, su quelle somme, una ritenuta del 21%, da versare tramite modello F24”. Secondo Federalberghi, però, in cinque anni la maggiore piattaforma di intermediazione per affitti brevi avrebbe omesso di versare in Italia imposte per oltre 750 milioni di euro.
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