Le persone che hanno contratto il Covid-19 oppure si sono vaccinate hanno un “imprinting immunitario”. È con questo termine (ma anche con quello di “peccato originale antigenico”) che, come riporta il Corriere della Sera, gli esperti definiscono quel processo secondo cui la prima proteina spike SARS-CoV-2 che un paziente incontra, sia per vaccinazione che per infezione, (in altri termini la prima variante contro cui il sistema immunitario si attiva) modella la successiva risposta immunitaria, anche a fronte delle altre varianti future.
In base a questo fenomeno, è possibile che una persona sviluppi anticorpi esclusivamente per una variante. Nel momento in cui viene infettata da un’altra, infatti, il suo sistema immunitario “crede” a memoria che si tratti della precedente e dunque non produce altri anticorpi. La reazione, comunque, è soggettiva e non è detto che ciò metta a rischio il paziente. A volte la risposta immunitaria si rafforza in riferimento alle future varianti, mentre altre volte si indebolisce.
Imprinting immunitario Covid, cos’è: il parere di Antonella Viola
Gli esperti, come riportato dal Corriere della Sera, ritengono che a due anni di distanza dall’avvento della pandemia, non esista un solo imprinting immunitario da Covid-19, bensì innumerevoli, date tutte le diverse varianti con cui la popolazione si è infettata e le vaccinazioni. Una sfida è capire quale sia la migliore. Attraverso ciò, infatti, si possono creare dei sieri più efficaci.
“Si è capito che la vaccinazione, a differenza dell’infezione, permette di generare una risposta immunitaria più ampia (perché si formano i centri germinativi nei linfonodi) che quindi consente di rispondere meglio anche alle varianti”, ha sottolineato l’immunologa Antonella Viola. “Tuttavia si è anche capito che il titolo anticorpale che generiamo con i richiami è maggiore nei confronti della Spike originaria e più basso per le varianti via via più diverse, ad indicare che c’è stato un chiaro imprinting dato anche dalla vaccinazione”.