Il giorno dopo la tragedia avvenuta sulla Marmolada qualcuno in rete ha ipotizzato che le cose non fossero andate come sono state raccontate e che, addirittura, il seracco staccatosi dal ghiacciaio fosse stato fatto saltare in aria intenzionalmente, usando degli esplosivi. Siamo di fronte forse al caso più eclatante di elaborazione di verità alternativa, una dinamica che, a partire da alcuni elementi dubbi o di difficile comprensione inerenti ad un fatto, propone una teoria opposta o comunque avversa a quella raccontata dai canali di informazione tradizionale.
Analogo processo si è ripetuto anche in occasione della pandemia, della guerra in Ucraina, del cambiamento climatico: si prende spunto da fattori che hanno una loro fondatezza e che necessitano di ulteriori spiegazioni per articolare una narrazione diversa delle cose.
La cosa in sé potrebbe essere derubricata a normale esercizio di spirito critico che costringe le moderne democrazie a rendere conto con più precisione delle vicende che determinano le scelte degli Stati, se non fosse che tali verità alternative finiscono per negare il fatto che si incaricano di criticare. La pandemia? Non esiste. La guerra in Ucraina? Non c’è stata alcuna invasione russa. Il cambiamento climatico? Un’invenzione dei poteri forti.
Ponendosi in questo modo davanti alle cose, ciò che succede è che si perdono le cose, ossia il lavoro che le cose richiedono. La forza di quello che accade non sta nel fatto in sé, ma nel lavoro personale che mette in moto, nella consapevolezza che crea. Se quel fatto è negato, tutta l’energia razionale e affettiva dell’uomo sarà impegnata nel confutare il meccanismo ingiusto che ne ha generato il racconto.
L’Io, in questo modo, perde la grande possibilità di crescere e di acquisire consistenza. Poniamo che la pandemia non sia mai esistita: che cosa ha voluto dire per te stare chiuso in casa due mesi? Che cosa hai imparato dentro le restrizioni che ci sono state chieste? Anche se la verità alternativa fosse vera c’è una strada da fare. E così per la guerra in Ucraina: anche se non ci fosse stata alcuna invasione, che cosa significa per te lavorare alla pace? Come fai pace con tua moglie, con tuo marito, con i tuoi figli? E poniamo non esista neppure il cambiamento climatico: che cosa significa per te avere cura del pianeta che la Natura ti ha affidato? In che cosa si gioca la tua responsabilità verso la realtà?
Nella vita finisce sempre che ci perdiamo il meglio. Accade anche in famiglia di fronte ad un figlio che non è come vorresti, accade dinnanzi ad un dolore, alla morte, ai conti di fine mese che non tornano o all’esame che non riesci a passare: ci saranno sicuramente mille ragioni per cui le cose potrebbero o dovrebbero essere diverse, e certamente avrai tu le chiavi migliori di comprensione del reale, ma come la mettiamo col fatto che certe cose ci sono, accadono?
Per i cristiani questo è sommamente vero nel rapporto con la Chiesa; ci sono mille ragioni per cui si può confutare un’idea, un orientamento o una decisione della Chiesa: si può dire che agisce in modo ingiusto, che ha dei pregiudizi, che deve ancora mettere a fuoco delle questioni pastorali o teologiche, ma non si può evitare – in forza di una verità che si ritiene di conoscere meglio – di accogliere la sfida che la Chiesa propone, sia essa in materia di sessualità o di accoglienza della vita, piuttosto che di ordine giuridico. Altrimenti si finisce sempre nello stesso modo: a forza di rincorrere e difendere le proprie ragioni, le proprie legittime verità alternative, si finisce per perdersi il meglio, ciò che sempre accade quando stiamo davvero – e umanamente – di fronte alla sfida che le cose ci pongono. Di fronte ad un Tu che non ci parla con ciò che noi riteniamo giusto, ma con la tenerezza di una vita che ci tocca. E ci chiama.
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