Negli ultimi mesi è aumentato il rischio di scarsità/costi della produzione di cibo in Italia. I motivi sono molteplici, ma tra questi l’analisi economica segnala con preoccupazione la siccità. Da un lato, non è ancora chiaro se l’Italia abbia un destino climatico di desertificazione, con acqua dolce decrescente, o di tropicalizzazione caratterizzata da mesi di siccità prolungata e da altri di piovosità continua, tipo i monsoni. Nel secondo caso la soluzione (già allo studio) sarebbe quella di costruire più invasi artificiali per distribuire acqua sufficiente nei momenti aridi e revisionare gli acquedotti per evitare perdite nonché altre soluzioni di efficienza idrica. Nel primo caso, invece, ci sarebbe un problema di scarsità risolvibile con dissalatori costieri e tecnologie di distribuzione molto selettiva dell’acqua per i terreni agricoli, per esempio come in Israele.
Non va esclusa l’eventualità che il territorio italiano si trovi esposto per una parte alla tropicalizzazione e per un’altra alla desertificazione. D’altro lato, in attesa dei dati dalle scienze fisiche non ci può essere inerzia nel rendere l’azienda agricola capace di produrre cibo indipendentemente dalle variazioni ambientali.
Al momento il Governo ha dichiarato lo stato d’emergenza per tutte le Regioni della Pianura padana, dal Piemonte al Friuli, fino alla fine dell’anno. Secondo chi scrive, entro questo quadro normativo andrebbe inserita una facilitazione per rendere l’impresa agricola ecoadattabile, sia sul piano della ricerca tecnologica, sia su quello delle trasformazioni concrete, anche cercando di revisionare parte del Pnrr per questo scopo.
Cos’è già utile in attesa di ecodati più precisi? Lasciando l’ultima parola agli esperti del settore, per l’analisi economica è fondamentale che l’azienda agricola venga potenziata per produrre cibo senza interruzioni e sempre più abbondante. Al riguardo delle proteine e della produzione di latte – settore anche a rischio per un’irrealistica postura antiallevamenti dell’Ue – è già evidente che gli animali debbano vivere in habitat microclimatizzati contro caldo o freddo estremi. Per questo serve energia. Che potrà essere ricavata da capacità autonome dell’azienda, o consortili, per esempio la produzione di biogas da rifiuti agricoli.
L’irrigazione? Comunque va distribuita da un reticolo millimetrico. La grandine? Bisognerà dare copertura a tutte le coltivazioni. In sintesi, bisogna iniziare a ridisegnare l’impresa agricola finanziandone di più l’ecoadattamento, particolarmente nella Valle del Po.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.