Nessuno pagherà per il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. La prescrizione salva due poliziotti che avrebbero dovuto indagare sui responsabili e sono stati accusati di aver spinto il falso pentito Vincenzo Scarantino a mettere a verbale bugie accusando ingiustamente degli innocenti, che poi furono condannati all’ergastolo per la strage. Si tratta di Mario Bò e Fabrizio Mattei, per i quali il tribunale di Caltanissetta ha dichiarato il non doversi procedere perché i reati loro ascritti sono estinti per prescrizione. Invece, Michele Ribaldo è stato assolto perché il fatto non costituisce reato. Erano imputati di calunnia aggravata dall’aver favorito la mafia. Ma essendo caduta l’aggravante, è scattata la prescrizione dal reato di calunnia. Quindi, nessuno sconterà un solo giorno di carcere per quello che viene definito il «più colossale depistaggio della storia d’Italia».
Per la procura, con la regia del loro capo Arnaldo La Barbera, poi deceduto, avrebbero creato a tavolino falsi pentiti come Salvatore Candura e Francesco Andriotta, oltre a Vincenzo Scarantino, imbeccandoli e costringendoli a mentire e ad accusare della strage persone che si sono poi rivelate innocenti. Un castello di menzogne costruito con i falsi collaboratori di giustizia che avrebbe aiutato i veri colpevoli della strage di via D’Amelio a farla franca. Così sarebbero rimaste coperte per anni le responsabilità dei clan mafiosi di Brancaccio e dei suoi capi, i fratelli Graviano. Erano stati i pm nisseni e le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza a far venire alla luce il depistaggio, che questa sentenza comunque non esclude.
“ANCORA UNA VOLTA CI VIENE NEGATA LA VERITÀ PIENA”
Ma la sentenza sembra voler dire che i poliziotti non agirono per favorire la mafia, bensì perché volevano una verità a tutti i costi. «Una tesi troppo riduttiva», affermano gli altri avvocati di parte civile, Rosalba Di Gregorio, Pino Scozzola e Beppe Dacquì, che rappresentano gli innocenti accusati da Vincenzo Scarantino. «Premesso che tutte le sentenze vanno rispettate e che, soprattutto in casi così complessi, è fondamentale leggere le motivazioni, come sorella di Giovanni Falcone e come cittadina italiana, provo una forte amarezza», ha dichiarato Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia a Capaci. «Ancora una volta ci è stata negata la verità piena su uno dei fatti più inquietanti della storia della Repubblica», ha aggiunto in merito alla decisione del tribunale di Caltanissetta sul depistaggio Borsellino.
«Dal dispositivo, che asserisce l’esistenza del depistaggio e la responsabilità di due dei tre imputati, emerge comunque la conferma dell’impianto della Procura di Caltanissetta che, con un lavoro coraggioso e scrupoloso, ha fatto luce su anni di trame e inquinamenti investigativi», evidenzia Maria Falcone. Amareggiato è anche l’avvocato Fabio Trizzino: «La sentenza dice che il dottor Bò e l’ispettore Mattei hanno comunque commesso il depistaggio. Per noi l’aggravante di mafia c’era. Continueremo a cercarla la verità». La famiglia Borsellino, che ha chiesto per l’ennesima volta di conoscere la verità sulla strage di Via D’Amelio, vede ancora negato il suo diritto.