Secondo Carlo Buttaroni, sondaggista, fondatore e presidente di Tecnè, “i 5 Stelle non hanno più quella base che li aveva caratterizzati in passato, hanno perso disoccupati, precari e appartenenti alle periferie sociali. Stessa cosa è successa alla Lega. Questo non significa che i loro elettori si siano spostati ad esempio in Fratelli d’Italia, oggi primo partito con il 23,4%, ma che sono andati a ingrossare le file degli astensionisti”. Davanti a una possibile crisi di governo, insomma, e al ricorso al voto, dice ancora Buttaroni, “è facile che l’astensionismo raccolga un ulteriore 15% di ex elettori in più rispetto al voto del 2018 che era già stato il più basso della storia della Repubblica (72%)”.
In una sua recente intervista lei ha detto che dal voto ideologico siamo passati oggi al voto economico: cosa intende esattamente?
Mentre dal secondo dopoguerra fino alla fine del 900 il voto era caratterizzato da appartenenze ideologiche, tanto che esisteva il voto tradizionale familiare, quel voto ideologico è stato soppiantato dal voto economico. Il comportamento elettorale è dato oggi dalla propria condizione sociale e da quello che gli elettori si aspettano che attraverso il voto possa migliorare le proprie condizioni. Questo lascia gli elettori più liberi.
Cioè?
Nel 2018 tra quelli che sono andati a votare e chi non è andato a votare la mobilità elettorale ha riguardato due elettori su tre, una cosa impensabile nel 900. Se guardiamo invece alle ultime elezioni amministrative, al primo turno, il 12 giugno, era andato a votare soltanto il 28% degli elettori a basso reddito, contro il 63% di quelli a reddito medio e il 79% di quelli a reddito alto.
Cioè i più poveri hanno smesso di votare?
Esattamente.Si sentono traditi da chi aveva promesso loro il cambiamento.
In un momento in cui il partito vincitore del 2018, il Movimento 5 Stelle, è crollato, a chi si rivolgono gli italiani? Dove è andato chi votava 5 Stelle?
Gli elettori dei diversi partiti incarnano una visione socio-economica complementare ma spesso agli opposti. I 5 Stelle sono il partito che più di tutti ha cambiato base elettorale rispetto al momento del picco nel 2018. Oggi è un partito di età media più alta, con disoccupati e precari in meno, e con un profilo molto simile all’elettore del Pd con differenze che sono soprattutto culturali. Il Movimento 5 Stelle mantiene un baricentro meno mainstream mentre il Pd è più mainstream ma il bacino elettorale è molto più simile rispetto a prima quando era del tutto opposto.
Non è più il partito degli ultimi?
Ha perso voti proprio nei suoi insediamenti tipici, precari, redditi bassi, disoccupati, tutti coloro a cui la globalizzazione ha fatto pagare un prezzo molto elevato e che non sono riusciti a restare al socialmente ed economicamente al passo. Una piccola parte di loro è andata verso la Lega, che però ha anch’essa perso la scommessa di dare una risposta agli ultimi. Sono senza patria. E non sono andati verso Fratelli d’Italia.
Sono andati a ingrossare le file degli astenuti?
Esatto, hanno ingrossato le file di quelli che oggi non andrebbero a votare, persone che hanno rotto con la politica. La grande speranza suscitata da Lega e 5 Stelle non ha dato le risposte attese. Oggi quegli elettori appartengono a fasce sociali ancora più povere, per questo i due partiti hanno perso voti nelle periferie sociali.
Ma davanti a una crisi di governo, gli italiani andrebbero a votare o no?
In questo momento la percentuale di astensione potrebbe salire anche di 15 punti rispetto al 2018, passare cioè dal 28% a oltre il 40%.
Tra guerra in corso e ritorno del Covid cosa preoccupa di più gli italiani? La situazione economica?
Le preoccupazioni si sommano, la priorità non va né al Covid né alla guerra. Preoccupano gli effetti di entrambi, la crisi economica e l’aumento dei prezzi. Questo 8% in più di inflazione che probabilmente in autunno potrà anche superare il 10, significa meno occupati, imprese più in sofferenza e oltre un milione di persone che scivoleranno tra i fragili e i poveri.
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