Renato Di Natale, ex presidente della Corte di assise di Caltanissetta che aveva aveva celebrato nel 1994 il primo processo per la strage di Via D’Amelio, torna a parlare della famosa agenda rossa di Borsellino in un’intervista a Famiglia Cristiana. “Non credo si troverà mai. Chi l’ha portata via l’avrà o distrutta o nascosta chissà dove”. A trovarsi di fronte al mistero, inserito nel contesto ancor più ampio della tragedia, proprio l’allora giovane presidente, che racconta: “Ero stato trasferito alla Procura nissena come aggiunto e mi occupai delle indagini sull’agenda rossa con il procuratore capo Francesco Messineo”.
Erano comunque passati già alcuni anni: “Sì, siamo nel 2005 e un giornalista di Antimafia duemila, Lorenzo Baldo, ci mette al corrente che, nel rimettere a posto il suo archivio, un fotografo professionista, Franco Lannino, aveva ritrovato le diapositive scattate subito dopo la strage. In una di queste si vede un uomo, con la pettorina e la griglia dell’Arma, che ha in mano la borsa del giudice. Lo identifichiamo come il capitano Giovanni Arcangioli”. Di Natale prosegue: “Dai filmati e dalle foto abbiamo potuto accertare che si stava dirigendo verso via Dell’Autonomia siciliana. Preciso subito che, in quel processo che lo vedeva imputato per furto dell’agenda rossa, il gip, nei confronti dell’ufficiale, dichiara il non luogo a procedere per non aver commesso il fatto. Resta, però, la domanda sul perché portò a spasso la borsa prima di riporla, o farla riporre, di nuovo nella macchina”.
L’idea di Di Natale sull’agenda rossa di Borsellino scomparsa nella strage di Via D’Amelio
Dopo la scoperta, le prime ipotesi. Di Natale, a Famiglia Cristiana, spiega: “Innanzitutto la certezza che l’agenda rossa Borsellino l’aveva con sé. Il pomeriggio del 19 luglio, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini, ospite di alcuni amici, si era chiuso in una stanza e vi aveva scritto per ore. Lo testimoniano i familiari e anche le cicche di sigarette che aveva lasciato nel posacenere sulla scrivania. In quella casa non è stata ritrovata e poi Borsellino non se ne separava mai. Il fatto anomalo è che l’allora capitano Arcangioli non redige alcun verbale sul prelievo della borsa né fornisce spiegazioni convincenti. La sentenza, che pure lo assolve, riporta la nota della Dia del 27 novembre 2007 che dichiara che “l’imputato aveva con sé a circa 25 metri dall’auto blindata del dottor Borsellino e poi in successione a circa 60 metri dallo stesso luogo la borsa, quasi in corrispondenza con via Dell’Autonomia siciliana”, dunque allontanandosi dal luogo della strage”.
Arcangioli, come spiega Di Natale, si è più volte contraddetto sulla famosa agenda rossa, dichiarando prima di aver affidato la borsa a magistrati, poi di averla cercata ma non trovata e infine di non essere certo di aver messo la borsa nella macchina dei magistrati. Insomma, dichiarazioni ricche di contraddizioni. Ma chi voleva quell’agenda? “Tutti. Personalmente credo che Borsellino potesse appuntarvi dei ragionamenti, non certo che il tale politico o il tale funzionario fossero collusi. Poteva esserci qualcosa sul nodo mafia-appalti. Ma nessuno può dirlo con certezza. Neppure i familiari avevano accesso a quelle pagine”. Secondo Di Natale, non si arriverà mai alla verità su quell’agenda: “I depistaggi interessarono il primo processo, in cui ero presidente, e i gradi successivi che confermarono le sentenze. Solo molti anni dopo si seppe che Scarantino, convinto a collaborare da Arnaldo La Barbera, era un falso pentito. La Barbera, così si legge nella sentenza del “Borsellino quater”, ebbe un “ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa”. Lui è morto, ma sono stati rinviati a giudizio altri tre poliziotti. Sinceramente, però, non credo che si saprà mai la verità completa”.