Caro direttore,
sindaci, sindacati, Confindustria, il Vaticano, l’Ue: non si era mai vista una così generale richiesta a un premier di rimanere a Palazzo Chigi come il pressing in corso su Mario Draghi perché non ceda allo strappo del M5s.
Mercoledì sapremo, le previsioni valgono come quelle del Mago Otelma, ma credo che in buona sostanza Draghi si sia sostanzialmente scocciato di avere a che fare con personaggi di seconda fila e logiche opposte al suo modo di pensare.
Poco interessato a litigi e nuove elezioni (Mattarella gli “deve” un posto da senatore a vita come probabile, meritato e logico riconoscimento nel momento in cui lasciasse l’attività politica) Draghi non ne può più di essere tenuto sotto scacco da una tribù impazzita di partner governativi, gruppi, gruppuscoli e correnti dove ciascuno pensa a sé stesso pur dichiarando l’esatto contrario.
Tutti lo vogliono, ma in concreto soprattutto perché il Pd teme oggi le elezioni, il M5S ne è terrorizzato, la Lega è incerta con Salvini che rischierebbe di perdere il suo ruolo di leader all’interno del centro-destra e lo stesso Berlusconi che non ha le idee chiare.
Gioca facile quindi solo la Meloni perché è fuori dai giochi ed è l’unica accreditata di successo, ma raggranellando voti soprattutto nel centro-destra e quindi non cambiando l’appeal complessivo della sua coalizione.
Il problema è che se si votasse subito – senza avere il tempo di varare una legge elettorale proporzionale – conterebbero le alleanze e per limitare i danni il Pd dovrebbe comunque trovare un’intesa con almeno una parte dei grillini e alla fine siglare forse anche un accordo con Calenda, la Bonino e lo stesso Matteo Renzi, altrimenti Letta rischia di perdere quasi tutti i collegi uninominali. Sull’altro fronte non sarà facile invece “pesare” il numero dei candidati tra cugini in tregua armata e parlamentari uscenti di Lega e FI che in qualche modo andranno tacitati vista anche la riduzione dei parlamentari da eleggere.
Ma torniamo a Draghi e a questo coro di osanna non disinteressato.
Per molti Draghi deve restare premier soprattutto perché rappresenta oggi un buon parafulmine per affrontare un autunno da “tempesta perfetta” tra crisi, inflazione, Pnrr da portare avanti, montanti proteste di piazza e un deficit pubblico sempre più smisurato.
Pensate ad un voto per inizio ottobre ed un governo di centro-destra da varare in pochi giorni: neanche il tempo del giuramento e sarebbe investito da un tale tsunami da rischiare di spiaggiare alla prima polemica.
Già, perché se si andasse a votare adesso secondo i sondaggi questo sarebbe il risultato più probabile, ma immediatamente dopo sindacati, Pd, stampa, commentatori vari, procure, Ue ecc. scatenerebbero un’immediata controffensiva, non solo mediatica, da far impallidire Berlusconi e la sua nipotina di Mubarak.
Quindi Draghi deve restare assolutamente per il bene di tutti, ufficialmente per salvare l’economia e il Paese, ma soprattutto per togliere le castagne dal fuoco ad uno schieramento politico in grande affanno e che non vuole troppo bruciarsi nel semestre pre-elettorale.
L’interessato resta in silenzio, forse combattuto tra il senso del dovere e il rischio di un possibile fallimento, sapendo di essere l’unica espressione credibile dell’Italia nel contesto mondiale.
Draghi puntava fortemente al Colle ma è rimasto a Palazzo Chigi, capisce di avere sempre meno autorevolezza personale ed acqua per navigare, mentre sale il livello della crisi e scendono i sondaggi sul suo appeal. Di qui – ritengo – il suo forte desiderio di chiudere in bellezza, mandare tutti al diavolo in attesa del laticlavio e magari un posto di vertice alla Nato, il che spiegherebbe anche la totale ed acritica adesione italiana ad una intesa Usa-Nato-Ue sull’Ucraina che non tutti in maggioranza applaudono, ma sono ufficialmente forzati a digerire.
Super Mario tentenna: in fondo, chi glielo fa fare?
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