Nel Cile governato da Gabriel Boric le cose stanno precipitando: il Presidente tanto voluto dalla maggioranza della popolazione che nelle scorse elezioni aveva operato un cambio politico paragonabile a quello di Salvador Allende degli anni ’70 sta purtroppo ottenendo l’effetto opposto. Non solo, ormai, la maggioranza dei cileni è favorevole al mantenimento dell’attuale Costituzione (quella voluta da Pinochet), ma anche a livello economico le cose stanno precipitando, con un’inflazione che è la più alta registrata negli ultimi 30 anni.
Nel mese di giugno è stata dello 0,9% ed è già arrivata a un 12,5% annuale: una cosa semplicemente ridicola nella confinante Argentina, ma un dato di grande negatività in una nazione dove, da anni, la gente era abituata a un massimo del 3% nell’arco dei 12 mesi. L’incremento del costo della vita rientra tra le principali preoccupazioni dei cileni: subito dopo vengono la sicurezza e l’aumento considerevole dei delitti commessi da delinquenti armati.
Nonostante il ministro degli Interni, Mario Marcel, abbia promesso misure focalizzate ad aiutare i settori della società con meno entrate (cioè coloro che più soffrono dell’aumento dell’inflazione), la somma di questi problemi ha fatto sì che l’immagine del Presidente riferita alla disapprovazione delle sue decisioni sia tra il 50 e il 60%, secondo molti sondaggi effettuati.
Ma non solo: per la prima volta da decenni, la Banca centrale cilena ha deciso di intervenire con la vendita di circa 25 miliardi di dollari per contenere l’aumento, definito storico, del cambio tra peso e dollaro che, per la prima volta, ha superato i 1.000 pesos.
Ma Boric in questo momento pare concentrato su quello che ritiene il suo problema principale già segnalato: il rifiuto di una nuova Costituzione e il mantenimento della vecchia. Il prossimo 4 settembre si terrà un referendum che dovrà approvare o respingere questo cambio, ma il Presidente ha già fatto sapere che proporrà un ulteriore nuovo documento costituzionale nel caso la sua proposta venisse respinta, prolungando di fatto questa importante questione di un anno e mezzo.
I principali partiti dell’opposizione hanno definito il testo attualmente proposto “troppo influenzato a sinistra e indigenista” e nella loro contestazione, col passare del tempo, si sono ritrovati a fianco la maggioranza della popolazione.
Ma il tanto celebrato processo di indigenismo sta purtroppo sfuggendo di mano al suo stesso promotore (il Presidente), visto che recentemente il Parlamento ha votato a favore del mantenimento (per la terza volta) dello stato di emergenza nei territori del Paese (Araucania e Biobio) nei quali continuano a ripetersi attentati da parte di elementi dell’etnia Mapuche (originaria proprio di queste regioni) che pretendono la restituzione di terre usurpate nel XIX secolo. Gli attentati, che principalmente colpiscono beni di imprese forestali che si sono installate in quelle terre, hanno poi visto sommarsene altri perpetrati da azioni violente di bande di delinquenti comuni, ladri di legname e narcotrafficanti.
Questo nonostante Boric abbia ottenuto pochi mesi fa il sostanziale consenso del suo collega argentino, Alberto Fernandez, nell’appoggiare le richieste dei Mapuche: etnia che, come sappiamo, in epoche remote, prima della scoperta e conquista del Continente americano, si era estesa nei suoi domini fino a occupare una vasta zona dell’Argentina, abitata dall’etnia Tehuelce, sterminata integralmente dai suoi territori. Il fatto è che gruppi di terroristi Mapuche o presunti tali, da anni mettono a ferro e fuoco anche la Patagonia argentina con attentati, omicidi, occupazione di paesi e di proprietà private, con lo scopo, ormai ampiamente dichiarato, di ricostruire la loro presunta Patria, una nazione che dovrebbe occupare vasti territori sia cileni che argentini. Questa operazione, lo ripetiamo, è appoggiata da ambedue i Governi populisti dei due Paesi, ma osteggiata come antistorica da gran parte delle popolazioni.
E allora come mai, improvvisamente, Boric in Cile si spinge a dichiarare lo stato di emergenza e di fatto combattere i suoi “amici” Mapuche? Per la semplice ragione che, come abbiamo spiegato prima, la questione storica è solo la facciata di un piano ben più “materiale” per il controllo del territorio da parte della criminalità organizzata e specialmente del narcotraffico.
E qui sorge un pericolo che rischia di trasformare il Cile, da modello democratico per tutto il continente latinoamericano in una succursale di un Venezuela che, come sappiamo, ha tra i suoi poteri quello, fortissimo, dei narco.
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