Alcune settimane fa il sindaco Gualtieri ha deciso di dotare Roma di un termovalorizzatore e non di un inceneritore come alcuni affermano, al fine di chiudere il ciclo dei rifiuti sul proprio territorio e questa decisione ha riacceso il dibattito sul ruolo che il recupero energetico può avere verso una gestione sostenibile degli scarti urbani.
Partiamo da un’utile precisazione. Il termovalorizzatore non è un semplice inceneritore, che brucia rifiuti generando emissioni. È invece una tecnologia avanzata che sfrutta la combustione dei rifiuti, non riciclabili, per recuperare energia da distribuire ai cittadini, come peraltro impone la legge, oltre a produrre acqua calda utilizzata in gran parte per il teleriscaldamento delle abitazioni.
Nonostante questa evidenza, i detrattori del termovalorizzatore diffondono diverse opinioni sulla funzione negativa dell’impianto stesso. Da un lato, affermano un aumento di emissioni inquinanti, che questa tecnologia provocherebbe, ignorando però tutte le più recenti analisi scientifiche effettuate, che rilevano invece come tali impatti risultino marginali e poco significativi. Dall’altro, sottolineano che la termovalorizzazione impedisce e rallenta il processo di riduzione dei rifiuti, riuso dei beni e recupero di materia, orientato verso l’economia circolare. La realtà, invece, evidenzia che la valorizzazione energetica risulta fondamentale alla riduzione dei rifiuti, al riuso dei beni e al riciclo, al fine di minimizzare al massimo il ricorso allo smaltimento in discarica.
Sarebbe opportuno ricordare che nella gestione dei rifiuti urbani in Italia lo smaltimento riguarda ancora il 20% degli stessi, quando invece, l’obiettivo indicato dall’ultima direttiva europea sul tema (già recepita nel nostro ordinamento) stabilisce che, al 2035, non debba superare il 10% dei rifiuti gestiti. Per questo il recupero energetico è sempre preferibile allo smaltimento. Non soltanto per l’opportunità che offre di sfruttare l’energia prodotta per i fabbisogni domestici, ma anche in ragione del contributo che apporta al processo di decarbonizzazione, in conseguenza del risparmio di emissioni che sarebbero state originate se l’energia prodotta fosse stata generata da combustibili fossili.
Spesso si discute su quale debba essere l’incidenza ottimale che il recupero energetico può assumere nell’ambito di una gestione sostenibile dei rifiuti e ancora una volta le direttive europee indicano la strada da seguire. Se al 2035 il riutilizzo e l’effettivo riciclo dei rifiuti dovrà raggiungere almeno il 65% del totale e lo smaltimento in discarica non potrà superare il 10%, il recupero energetico potrà riguardare fino al 25% dei rifiuti non riciclabili.
Nell’ottica di azzerare lo smaltimento in discarica, la termovalorizzazione è finalizzata non soltanto ai rifiuti che residuano dalle raccolte differenziate, ma anche ai materiali estranei rispetto ai rifiuti differenziati, oltre che agli scarti dei processi di riciclo. Ma purtroppo nel nostro Paese c’è carenza di impianti di termovalorizzazione che caratterizza alcune regioni d’Italia, in primis Lazio e Sicilia.
Il termovalorizzatore annunciato a Roma ha una capacità di 600mila tonnellate l’anno e ha obiettivi chiari: interrompere l’esportazione su gomma (camion) di rifiuti fuori regione, in contrasto con i principi di autosufficienza e di prossimità che sovrintendono la gestione dei rifiuti urbani, con costi ambientali (inquinamento) ed economici consistenti, che finiscono per riflettersi sull’importo della tariffa a carico dei cittadini e delle imprese; liberare il ciclo dei rifiuti romani dall’elevato costo degli impianti di trattamento meccanico biologico che generano ulteriori flussi di rifiuti in uscita, destinati a discariche e a termovalorizzatori e terzo obiettivo ricavare energia preziosa da utilizzare per i fabbisogni di migliaia di famiglie e attività produttive.
Dunque, il modello virtuoso di gestione dei rifiuti da seguire è quello già sviluppato da anni in Lombardia, che avvia a riciclo quasi il 74% di rifiuti urbani, ne valorizza energeticamente più del 20% e ne smaltisce in discarica il 3,5%. Cogliendo già oggi gli obiettivi europei fissati al 2035. Stupisce quindi che da alcuni ambienti politici, sindacali e dell’associazionismo ambientalista si prendano le distanze da un progetto (quello della giunta capitolina) che, di quel modello, apprezzato non soltanto in Italia, cerca di riproporne le fondamenta per chiudere il ciclo dei rifiuti sul proprio territorio.
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